RECENSIONE – Uno strepitoso inizio di stagione teatrale quello inaugurato in questi giorni al Teatro Mercadante di Napoli. “Clitennestra” è in scena già dal 18 ottobre fino a domenica 29. Uno spettacolo di eccezionale pathos. Struggente, angosciante, da brividi. La rappresentazione è ispirata a “La casa dei nomi” di Colm Tóibín. L’adattamento e la regia sono curati da Roberto Andò.
Il cast è composto da notevoli talenti: Isabella Ragonese, Ivan Alovisio, Arianna Becheroni, Denis Fasolo, Katia Gargano, Federico Lima Roque, Cristina Parku e Anita Serafini. Ogni interpretazione emoziona nel profondo, agguanta lo spettatore nello stomaco. Per un’ora e mezza strappa lacrime di empatia agli animi più sensibili. Complici un uso sapientissimo del sonoro e le scenografie fredde, scarne, squallide come la cecità di certi sentimenti raccontati.
La storia narrata è quella di Clitennestra, moglie di Agamennone e madre di Ifigenia. Non importa se i costumi e le acconciature di scena non sono quelli tradizionali dell’Antichità. Grazie alla maestria della compagnia teatrale, il pubblico riesce ugualmente a percepire tutta la suggestione della mitologia greca.
Le voci strazianti degli attori, i dialoghi solenni e aulici. Ogni dettaglio aiuta il pubblico a vivere il dramma e lo strazio di un racconto che ha attraversato i secoli. Da Omero a Euripide, da Eschilo a Sofocle: la letteratura antica non ha mai riservato sviolinate al personaggio di Clitennestra. La Regina di Micene ha sempre incarnato, nell’immaginario collettivo, la meschina assassina del marito. Una donna traditrice, infedele, infame, vendicativa. Non di certo un angelo del focolare.
Lo spettacolo di Andò non santifica Clitennestra. Su ispirazione del romanzo dell’irlandese Colm Tóibín, il desiderio è quello di riscattare il personaggio raccontando il suo dolore di madre ingannata. La sua sete di giustizia di fronte a una figlia di sedici anni sacrificata agli dei in nome della guerra. La sua rabbia cieca e determinata. E allo stesso tempo riflettere su come la violenza generi sempre violenza, attivando una spirale perpetua di morte e sangue.
Di Valentina Mazzella