STRASBURGO – Finalmente giustizia per quanto subirono presso le carceri di Bolzaneto e Asti i detenuti arrestati nei giorni del G8 del 2001, quando a Genova un numero non cospicuo di agenti della Polizia dello Stato, con alcuni battaglioni dei Carabinieri, entrarono nelle scuole Diaz, Pascoli e Pertini e diedero vita a un pestaggio che il vicequestore Michelangelo Fournier definì “da macelleria messicana” per punire anonimi black block responsabili di atti di violenza per protestare contro i governi che deliberavano nel G8.
Sulla base delle testimonianze di decine di vittime, furono 300 le persone che tra le pareti delle caserme furono private della possibilità di incontrare i loro legali, umiliate, picchiate e minacciate. I ragazzi furono costretti a restare immobili per ore, mentre le donne subirono violenze fisiche e morali. Alcune persone sono state pestate più volte o è stato imposto loro di spogliarsi davanti ad agenti del sesso opposto. A molte delle ragazze furono fatti togliere addirittura gli assorbenti, negando poi loro l’uso di salviette igieniche. Molteplici oggetti personali sono stati strappati dagli agenti e mai più restituiti. Altri detenuti hanno dovuto gridare: “Viva il duce, viva il fascismo, viva la polizia penitenziaria”. Per non parlare delle celle in cui furono spruzzati gas urticanti. A tutti i detenuti sono state negate la possibilità di contattare un avvocato, la famiglia o, per gli stranieri, i rispettivi consolati. Fatti agghiaccianti che per anni qualcuno ha cercato di accantonare come polvere indesiderata sotto a un tappeto.
Ma oggi la Corte europea dei diritti umani, che a sede a Strasburgo, si è espressa irremovibile: fu tortura. L’Italia, che incredibilmente non ha ancora una ‘vera’ legge sul reato di tortura, è stata condannata per le azioni commesse dalle forze dell’ordine e per le inadeguate indagini condotte dallo Stato sull’accaduto. La sentenza: “I ricorrenti, trattati come oggetti per mano del potere pubblico, hanno vissuto durante tutta la durata della loro detenzione in un luogo ‘di non diritto’ dove le garanzie più elementari erano state sospese”. I giudici di Strasburgo aggiungono poi: “L’insieme dei fatti emersi dimostra che i membri della polizia presenti, gli agenti semplici, e per estensione, la catena di comando, hanno gravemente contravvenuto al loro dovere deontologico primario di proteggere le persone poste sotto la loro sorveglianza”.
Pertanto adesso il Governo dovrà pagare ingenti risarcimenti in denaro alle vittime per i danni morali arrecati. Si parla di 10mila e 85mila euro a testa per i 48 detenuti di Bolzaneto, 45mila per gli undici ricorrenti che hanno accettato un accordo con il governo italiano. In più 80mila euro per Andrea Cirini e Claudio Renne, morto in carcere lo scorso gennaio, reclusi ad Asti. Le differenti cifre dipendono dalla gravità delle torture subite e dagli indennizzi accordati dai tribunali nazionali che lo Stato ha già versato o meno a seconda dei casi.
La politica italiana intanto ha commentato la decisione comunicando in larga misura un sentimento di approvazione. Il responsabile Sicurezza del Pd, Emanuele Fiano, dichiara: “Bolzaneto è stata una pagina orribile della nostra storia. Non ci possono essere giudizi diversi, questa sentenza lo conferma, ancora una volta”. D’accordo è anche Nicola Fratoianni, Sinistra italiana: “Ci fu tortura. Noi lo sapevamo. Amareggiati per aver atteso quasi 20 anni. Ora mai più quelle scene e quelle infamie. L’amarezza è che i responsabili di quelle atrocità siano stati coperti prima e poi tra indulti, falle legislative e abbiano avuto punizioni ridicole”. In ultimo Paolo Cento (Si): “Questa sentenza rappresenta un risarcimento politico-istituzionale per il movimento no global che in quei giorni si mobilitò a Genova contro il G8”.
Oggi vorremmo scrivere “Tutto è bene quello che finisce bene”, ma non ci riusciamo. Nonostante il trionfo legale, i soldi non cancellano tutto. È una vittoria a metà. Una giustizia a metà. Resta l’angoscia per dei fatti atroci che hanno potuto verificarsi nel contesto di un Paese occidentale che dovremmo poter definire “civile”. E poi l’insoddisfazione per la dubbia certezza della pena per i veri responsabili di tali barbarie, la ferita più grande che è difficile da rimarginare.
Di Valentina Mazzella