Napoli – dalle origini della pubblicità, le donne sono state uno degli elementi più rappresentati, sia per accompagnare il prodotto sia per spiegarne l’utilizzo. La figura femminile si materializza quasi sempre come oggetto del desiderio per incoraggiare l’acquisto. Attualmente le campagne sessiste sono criticate e in molti casi censurate, ma dobbiamo riconoscere che molte pubblicità continuano ancora a mostrare ruoli femminili che hanno poco a che fare con l’immagine che la donna rappresenta nel pieno del XXI secolo.
Le donne e gli uomini nel corso della storia hanno interpretato ruoli sociali diversi e, sebbene entrambi si siano evoluti, sussistono ancora delle differenze. La pubblicità si serve di stereotipi per costruire storie coerenti con l’identità di un prodotto o di un marchio, cercando di arrivare al target specifico cui è rivolta. Per questo motivo, rappresenta un importante metro sociale e grazie ad essa, è possibile analizzare le caratteristiche della società in ogni momento storico.
Analizziamo il ruolo delle donne nella società ed il modo in cui è stato rappresentato nella pubblicità.
Fino alla prima metà del ventesimo secolo, il ruolo delle donne consisteva principalmente nell’essere una brava e sottomessa “donnina di casa”, il cui compito consisteva nello sbrigare tutte le faccende domestiche ed occuparsi del marito e dei figli, anteponendo i loro desideri ai suoi reali bisogni. In questo contesto assume un ruolo passivo dove sottostà al volere maschile cercando di soddisfarne le voglie tramite il suo corpo e la sua bellezza.
La trasmissione di questi stereotipi veicolava l’idea che le donne per avere un ruolo attivo nella società, dovessero fare affidamento solo sulla propria avvenenza, caratteristica che agli uomini difficilmente viene richiesta.
Erano loro a rappresentare la parte attiva della società, coloro che attraverso il lavoro erano capaci di mantenere economicamente la famiglia. Erano rappresentati con una personalità dinamica, competitiva e autoritaria, erano “i padroni dell’universo”. La pubblicità del tempo rappresentava in questo modo “i giochi di ruolo” di entrambi i sessi.
Senza alcun dubbio, si sta manifestando un’inversione di tendenza riscontrabile soprattutto nel settore dei giochi, provata da uno studio la cui coordinatrice, Samantha Thomas, ha sottolineato come un tempo, le società regolamentate del gambling online, gestivano le campagne sul gioco dirigendosi ad un pubblico prettamente maschile. Le donne, in questi spot, venivano considerate come protagoniste secondarie o rivestivano esclusivamente un ruolo di pura immagine. Le cose però stanno cambiando e le società stanno riconsiderando la posizione delle donne come protagoniste attive del settore.
Potremmo a questo punto chiederci: il loro ruolo oggi è totalmente differente o potremmo semplicemente pensare che il sessismo del passato si è evoluto verso un modo diverso di “oggettivare” le donne? La pubblicità come rappresentazione sociale di stereotipi e riflessioni su mode, tendenze e stili di vita, ci dà la risposta.
Sono state rimosse immagini pubblicitarie che mostravano esempi di stereotipi correnti su richiesta di Google Adsense. La compagnia li considerava materiale pornografico ed erano incompatibili con l’inserimento in una pubblicità. Le immagini erano grafiche pubblicitarie dei marchi Durex, Peta, Tom Ford (profumo per uomo), Men’s Magazine, Converse, Axe e Burger King. Gli annunci pubblicitari sono stati presentati dai marchi per rivolgersi a tutto il pubblico nelle loro campagne. Ciò non significa che il loro contenuto sessista fosse limitato, tanto che Google li ha definiti “pornografici”; non c’è dubbio quindi che l’immagine delle donne fosse usata in maniera sessista, trasmettendo un’oggettivazione della stessa.
Se le immagini trasmesse nei vecchi spot non rappresentano affatto la donna del 21° secolo, cosa possiamo dire di quelle attuali? Che siamo abituati a convivere con queste e recepire il corpo femminile nelle pubblicità come un prodotto in più dell’industria culturale, cosa che non le rende moralmente migliori o più evolute di quelle di altri tempi.
La domanda che dobbiamo porci è: in che modo le future generazioni vedranno la nostra attuale pubblicità? Sentiranno lo stesso rifiuto che proviamo nei confronti della pubblicità della metà del secolo scorso? Probabilmente non condivideranno l’attuale mercificazione delle donne, e forse guarderanno i loro antenati del XXI secolo con un misto di superiorità e tristezza, pensando a quanto eravamo obsoleti e attempati.