POMIGLIANO D’ARCO – Quanto c’è di buono e quanto c’è di pericoloso nei Social-network? È probabilmente la domanda più ripetuta e discussa in questa innovativa epoca digitale che stiamo vivendo. Ed è anche il quesito su cui l’Azione Cattolica della Chiesa Maria SS. Del Rosario si è interrogata ieri pomeriggio, mercoledì 17 maggio, presso la scuola elementare Salvo D’Acquisto (ex Frasso) di Pomigliano d’Arco (NA) nell’ambito del convegno “SOCIAL, TROPPO SOCIAL! L’influenza dei social nella vita quotidiana”. L’evento, moderato da Alfonso Lanzieri dell’Ufficio Comunicazione della Diocesi di Nola, ha goduto del fruttuoso intervento di Nicola La Sala, ex presidente della Diocesi di Avellino. Considerati gli importanti spunti di riflessione, l’invito all’assemblea è stato esteso anche alle parrocchie dei territori limitrofi.
Inutile dire che sull’argomento ci sia di norma davvero tanto da dire. Il proposito di partenza è stato non demonizzare a prescindere i social negandone i vantaggi positivi. L’incontro non è inciampato nella banalità del già-detto soffermandosi, anzi, su alcuni aspetti interessanti tra i meno approfonditi. Ad esempio accendendo i riflettori soprattutto sulla forte e imperante “logica del controllo” dei social. Facendo anche appello all’esperienza comune, Nicola La Sala ha evidenziato come su Facebook tutti allo stesso tempo siano controllori e controllati. Non si fa riferimento unicamente allo spiare l’amico o la ragazza che ci piace e chi per esso, ma anche alle stesse piattaforme social che vendono i dati degli utenti alle aziende interessate alle abitudini dei consumatori per applicare migliori strategie di marketing. “Non è un caso che possano uscire pubblicità di abiti da sposa a chi sul proprio profilo ha scritto di essere fidanzato o sentimentalmente impegnato” spiega La Sala.
I Social-network diventano inoltre anche per i media degli strumenti in più per promuovere idee e convenzioni affinché queste vengano condivise dalla società in un fenomeno di rapida omologazione degli usi e dei costumi. Ciò significa che dietro il mondo digitale si celi un potere di controllo economico e sociale non indifferente.
Tornando tuttavia a incentrare il discorso sulla quotidianità dei semplici utenti, non è stato trascurato il tema dell’incalzante alienazione delle persone dai rapporti reali. Non si vuole essere a tutti costi degli “integrati ottimisti illusi”, premette Nicola La Sala, però basta semplicemente acquisire la consapevolezza di essere in una fase di impreparazione momentanea per essere meno pessimisti. Il prospetto è meno negativo di quanto solitamente si decanti. “Un’immagine su uno schermo non potrà mai sostituire il calore di un abbraccio vero” asserisce sereno. La rivoluzione tecnologica dal 2000 ad oggi è stata così veloce che non ha dato il tempo all’uomo del Novecento di organizzare dei sistemi adeguati per educare e soprattutto tutelare al meglio i cosiddetti nativi digitali. Eppure ciò non significa che delle soluzioni non esistano. Già oggi infatti sono stati fatti dei passi in avanti fra informazione e polizia postale per dirne alcune. Secondo La Sala non ci sono dunque i presupposti per etichettare l’era di Facebook come una fase di involuzione.
In fondo i social non sono altro che degli amplificatori dei difetti umani. La maggior parte dei loro pericoli non sono nati con essi. Lo stesso fenomeno di coloro che usano le piattaforme come vetrina per mettersi in mostra, ottenere Like e i fantomatici cinque minuti di notorietà (una nuova versione dello star-system) ad esempio raccoglie l’eredità dei reality-show il cui boom risale ai primi anni 2000, quando Facebook, Twitter o Instagram ancora non esistevano.
Pertanto al momento l’aspetto più difficile da affrontare sicuramente resta quello che la ricercatrice Danah Boyd e i sociologi chiamano “collasso dei contesti”, aggiunge Alfonso Lanzieri. Se le persone si sono sempre comportate in maniera diversa a seconda del contesto (formale, informale, familiare che fosse), con l’avvento dei social ci si ritrova a condividere immagini, frasi e momenti in un’enorme piazza pubblica in cui, se postiamo una foto in cui beviamo una birra alle due di notte, è possibile ricevere un feedback non solo dagli amici, ma anche da genitori, parenti, docenti e titolari di lavoro. In breve non avviene più quella selezione dei contesti che da sempre aiuta l’uomo nella scelta del registro verbale e dell’atteggiamento più opportuni alla situazione e questo genera un conflitto.
Che l’ultima spiaggia sia sperare nell’educazione delle nuove generazioni? Certo, ma non solo. Secondo Don Aniello Tortora, parroco della Chiesa Maria SS. Del Rosario, non è fuori luogo considerare di tornare a educare anche le vecchie generazioni. Siamo infatti in un periodo storico in cui ormai sempre più di frequente si parla di “adultescenza”, neologismo coniato dagli esperti per indicare quella particolare condizione in cui molti adulti, nonostante il raggiungimento dell’età matura, continuino a presentare un’identità con dei tratti adolescenziali. Non si tratta banalmente di restare giovani dentro, al contrario. È una circostanza per molti aspetti affine alla cosiddetta “Sindrome di Peter Pan” che comporta uno sviluppo incompleto della personalità. Ne consegue che sempre più figli si ritrovino ad affrontare le insicurezze della propria età senza poter contare sulla stabilità dei genitori.
Educhiamo ed educhiamoci: queste dovrebbero essere in conclusione le missioni per assicurare un uso più appropriato e sicuro dei social. Soprattutto imparando ad esempio a sfruttarli per divulgare su larga scala idee di tolleranza e accoglienza a seconda delle tematiche più attuali. Per rendere fattibile tutto ciò non bisogna però perdere la fiducia nel domani, un futuro che non necessariamente è nero come lo si dipinge.
Di Valentina Mazzella