NAPOLI. A deciderlo la corte di Cassazione che ha depositato anche le motivazioni del verdetto.
Grande delusione per tutti i familiari delle vittime, già pronti al peggio in quanto tutte le accuse a carico di Stephan Schmideiny , l’imprenditore svizzero, risultavano prescritte ancor prima del giudizio della corte.
E’ dal 1993 che è stato comprovato l’effetto nocivo delle polveri di amianto la cui lavorazione fu definitivamente inibita, con comando agli Enti pubblici di provvedere alla bonifica dei siti.
Da tale data a quella del rinvio a giudizio (2009) e della sentenza di primo grado (2012), sono passati più di 15 anni previsti per la maturazione della prescrizione in base alla legge 251 del 2005.
Di conseguenza decadono anche tutte le questioni sostanziali riguardanti gli interessi civili ed il risarcimento dei danni.
Secondo i giudici, reato e permanenza degli effetti del reato, non sono da confondersi né da sommarsi come deciso invece precedentemente dalla Corte di Appello.
La consumazione del reato di disastro non puo’ considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le immissioni delle polveri d’amianto prodotte dagli stabilimenti gestiti da Schmidheiny.
Nel 1986 poi, falliscono gli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo in Piemonte, Napoli-Bagnoli e Rubiera in Emilia, quindi venne meno il potere gestorio riferibile all’imputato.
Laddove i siti non sono stati bonificati, come nel caso di Bagnoli, la Cassazione non ritiene inoltre responsabile l’imprenditore svizzero in quanto il reato di disastro non reca traccia di tale obbligo o di obbligo analogo.