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Se tutte le professioni si gestissero come nella musica, il mondo si estinguerebbe all’istante

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La cultura musicale, i musicisti ed i compositori non se la sta passando bene in Italia. Sull’argomento pubblichiamo di seguito una lettera aperta del noto perito plagi M° Luca Valsecchi, con l’intento di far riflettere gli addetti ai lavori ed il pubblico su un argomento così importante per la cultura italiana.

“I musicisti diplomati e laureati in Italia si autodefiniscono “professionisti” in virtù del loro diploma, quando di professione sono perlopiù insegnanti. Un architetto ad esempio non è tale di professione in virtù della sua laurea: nel momento in cui insegna la sua disciplina esercita la professione di insegnante, nel momento in cui esercita la sua disciplina di professione fa l’architetto.

Banale si dirà, ma non per i musicisti, che puntualmente controbattono (per non dire altro) che non c’è lavoro, questa è una doppia bestemmia.

Decine di migliaia di “musicanti” dilettanti, più o meno preparati, svolgono professioni musicali, tante e articolate, nell’attesa che i musicisti ne vengano a conoscenza e quindi si predispongano per potervi rispondere; ciò non avviene a causa del fatto che la cultura musicale in Italia, quella appunto “del professionista”, inteso come studenti prima e laureati poi al Conservatorio, è ferma all’ 800, fuor di metafora.

Hai voglia a trovar lavoro…

Al contempo ecco perché la musica in Italia è andata a farsi benedire totalmente ormai da molti anni, alimentando senza fine l’assenza di cultura musicale generale (popolare), visto che questa viene lasciata quasi totalmente in mano a chi letteralmente non conosce una nota musicale.

Ed ecco perché le canzoni odierne sono letteralmente tutte uguali: non perché le note siano sette (!), e nemmeno 12 come dicono i “musicisti professionisti” (12 sono i suoni diversi, le note sono molte molte di più), ma semplicemente chi ancora compone canzoni (oggi giorno si fa prima a “scrivere” una melodia direttamente su una base pregressa) lo fa, nel 90% dei casi, conoscendo al massimo solo quelle sette note, praticamente castrando la creatività!

Il tutto senza rendersi  conto che sputando sopra alla musica popolare (perché questo è esattamente ciò che avviene nel mondo accademico – musicale) ci si auto-distrugge.

Per capirlo trasliamo lo stesso “modus operandi” a qualsiasi altra professione, in cui i relativi addetti ai lavori procederebbero ad ignorare il popolo, ritenuto ignorante relativamente a quella determinata disciplina, e quindi  non “degno” di rivolgere ad esso il proprio lavoro, indirizzandolo quindi esclusivamente ai “pari livello”.

Tutti gli architetti, medici, idraulici, elettricisti… si troverebbero all’istante senza lavoro. Di più: il mondo cesserebbe di esistere.

Questo è esattamente ciò che accade nel settore musicale.

Il fatto che vi sia comunque un notevole mercato, seppur totalmente sconosciuto ai “musicisti professionisti”, rappresenta un autentico miracolo, che è comunque destinato ad esaurirsi, a causa di questo circolo vizioso, basato sul settore accademico arcaico, che solo negli ultimi anni sta cominciando a rientrare nella realtà.

Vedasi semplicemente i concerti che vengono riproposti, identici, da secoli, con la pretesa che le sale si riempiano (ci si dovrebbe preoccupare se ciò avvenisse, non stupirsi del contrario), quando ci sono decine di migliaia di compositori viventi di formazione accademica, che non hanno alcuna benché minima possibilità di far eseguire le proprie composizioni.

Ad eccezione naturalmente di quel microcircuito auto – referenziale conosciuto unicamente dagli “addetti ai lavori” (cioè unicamente da coloro che vi partecipano…) denominato “musica contemporanea”, totalmente sconosciuto da oltre il 99,99% degli italiani.

Lo studio è una cosa fondamentale (che sempre partirà da Bach), lo spettacolo un’altra, e le emozioni un’altra cosa ancora.

Senza alcun riferimento, s’intende, alle ridicole critiche giornalistiche post concerti, manco fossero sessioni d’esame, dove invece di “misurare” quanto il pubblico abbia più o meno “ricaricato le pile dell’anima e dello spirito”, si vanno ad effettuare elucubrazioni tecnico – teoriche il più delle volte improponibili. Per non dire dell’attesa spasmodica dell’errore vero e proprio…

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