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Riapertura delle “case di tolleranza”? Chissà cosa avrebbe pensato Pier Paolo Pasolini oggi

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Cosa penserebbe o direbbe dell’Italia di oggi Pier Paolo Pasolini se fosse ancora vivo? È la domanda che affiora spontanea, turbata e seguita da un sospiro di sconforto, nella mente di chi rammenta quanto il grande intellettuale friulano abbia a lungo intuito e analizzato a proposito della società italiana già cinquant’anni fa. Oggi non importa quale mezzo di comunicazione sia la nostra fonte di informazione. Che si accenda il televisore, che si preferisca scorrere le pagine dei social, leggere i giornali o ascoltare la radio non fa la differenza: quasi ogni giorno inevitabilmente ci giunge la voce dell’ultima proposta del Ministro degli Interni Matteo Salvini. Di solito si tratta di posizioni alle quali in maniera obiettiva si contesta soprattutto l’incoerenza di fondo perché la pluralità di opinioni la si comprende, ma lascia sempre perplessi invece la sua convinzione che certi pensieri non stridano per nulla con il pacchetto di valori del Vangelo su cui giura in pubblico.

Tralasciando tuttavia questo aspetto, in questa sede si desiderava riflettere sull’incredibile retromarcia culturale che al popolo italiano viene indicata sotto mentite spoglie. La si chiama “difesa dei diritti e dei valori”, “soluzioni”, “giustizia”… Eppure con un lessico magari più attuale e disinibito vengono riproposti gli stessi usi, costumi e pensieri su cui Pier Paolo Pasolini, per dirne una, intervistò gli Italiani nel 1965 nel suo celeberrima film-documentario “Comizi d’amore”.

All’epoca sul tema dell’omosessualità le risposte apertamente esprimevano il dissenso nei confronti “dei vizi di certi invertiti”. L’anno scorso Salvini combatteva una crociata contro la Disney alla notizia di un’eventuale Elsa lesbica nel sequel del noto film d’animazione “Frozen”. La differenza sta nel mezzo secolo trascorso fra il primo e il secondo contesto.

In questi giorni invece si discute di nuovo di una potenziale riapertura delle “case di tolleranza” e allora tornano alla mente anche le conversazioni di Pasolini con le donne e gli uomini sulla Legge Merlin del 1958. Possibile che quello dei bordelli debba ancora oggi, a distanza di sessant’anni, essere tematica di attualità? Possibile che si debba tornare indietro? L’Italia davvero non è cambiata di una virgola?

La teoria vuole che la riapertura delle cosiddette “case chiuse” conduca a un’accurata regolamentazione della prostituzione in Italia, a maggiori controlli sanitari delle prostitute e al pagamento di tasse da parte delle stesse allo Stato per l’esercizio della propria professione. Va bene, bella la teoria… ma in pratica? Innanzitutto si spera che la terminologia “case di tolleranza” sia esclusivamente evocativa per i “romantici” di altri tempi perché prima della Legge Merlin le case chiuse erano vere e proprie prigioni in cui era autorizzato lo sfruttamento sessuale. Pertanto almeno ci si augura che ciò a cui la proposta ambisce sia sempre un esercizio della professione in appartamenti privati autogestiti dalle stesse donne che lavorano e non da terzi che si grattano la pancia. Perché altrimenti sarebbe favoreggiamento dello sfruttamento e reintroduzione di vecchi stigma sociali del resto mai morti.

In secondo luogo si discute tanto dei controlli sanitari delle prostitute per difendere le “sex workers” e i clienti quando in realtà il problema è diverso. Iniziamo con il ricordare che come diceva Pasolini “quella delle malattie sia un po’ una scusa”. Le donne hanno tutto l’interesse del mondo nel tutelarsi, ma di base spesso sono paradossalmente i clienti in primis a chiedere rapporti non protetti con insistenza. E si tratta della scoperta dell’acqua calda se si pensa a qualsiasi inchiesta con telecamera nascosta realizzata dalla trasmissione “Le Iene” sul tema prostituzione. Ne consegue che, quanto la prevenzione medica, necessaria sarebbe maggiormente la responsabilizzazione dei clienti, nonché della società in generale che ancora non sembra preparata adeguatamente.

Poi arriviamo al punto “regolamentazione e tasse”. Perfetto: veramente si è così ingenui da credere che possa bastare schedare le lavoratrici nelle case di tolleranza per togliere i falò dalle strade? Le lucciole da marciapiede non scomparirebbero come in fondo esistono ancora il contrabbando delle sigarette e l’abusivismo in toto. La stragrande maggioranza delle ragazze che si prostituiscono nelle vie isolate spesso sono succubi di sistemi di sfruttamento affiliati con le associazioni a delinquere, come d’altronde è risaputo. Le straniere senza documenti e permesso di soggiorno continuerebbero a vendersi per strada senza registrarsi. E probabilmente anche molte Italiane preferirebbero non rendere di dominio pubblico la propria professione per pudore e per non versare le fantomatiche tasse. Il lavoro a nero non è nato mica ieri. E i clienti sicuramente continuerebbero a fare la fila magari per i prezzi più vantaggiosi come anni fa accadeva in Francia dove casalinghe e studentesse si prostituivano a nero sbaragliando le sex workers registrate, appunto grazie ai costi più contenuti.

In ultimo – sì, forse bigottamente, ma non me ne vergogno – c’è da chiedersi poi eticamente quanto sia corretto che lo Stato mangi con la mercificazione del corpo degli altri. Pasolini chiedeva a un signore di Napoli quanto fosse eticamente giusto “uno Stato magnaccio”. Per dirlo alla napoletana “uno Stato ricottaro” a spese delle donne. Non è questione di scandalo, di morale o di religione, ma di etica e valore umano. In realtà l’argomento è stato intavolato di nuovo dal vicepremier unicamente per buttare un po’ di fumo negli occhi agli Italiani e distrarli da problemi ben più gravi e impellenti. Tant’è che la Lega non si è nemmeno consultata con alcuna associazione attinente.

Tuttavia resta per noi sempre l’occasione per meditare sulla materia e magari interrogarsi piuttosto sui motivi, i contesti economici e sociali o l’avidità di certi modelli che inducono una donna a scegliere di vendersi per denaro. Ma su questo non si indaga, meglio nascondere la polvere sotto al tappeto. È davvero tanto utopico immaginare un mondo senza prostituzione? “Non sarebbe meglio se la prostituzione non ci fosse proprio?” era il quesito che “il commesso viaggiatore” in “Comizi d’amore” ripeteva cercando di comprendere. Significherebbe puntare su un’operazione di educazione sessuale, affettiva e sentimentale della società. Più facile raccogliere favore in nome di una presunta modernità più vecchia del 1958. Chissà cosa avrebbe pensato o detto Pasolini oggi…

Di Valentina Mazzella

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