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Referendum costituzionale del 4 dicembre: quale sarà il quesito posto ai cittadini?

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PREMESSE E CONSIDERAZIONI:

‘Un referendum a semestre toglie il medico di torno’ sembra essere stato un po’ lo slogan di quest’anno. Domani, domenica 4 dicembre, i cittadini sono infatti chiamati alle urne per un nuovo Referendum. Questa volta sulla Costituzione e sul Senato. E, perdonate la sfiducia, già sorge la domanda sul perché mai si chieda un consulto popolare per operare delle scelte strettamente tecniche che richiedono in maniera lampante grandi competenze e conoscenze economiche e soprattutto giuridiche. Non sarebbe meglio proporre quesiti alle masse esclusivamente di natura etica, sociale e bioetica? I politici non sono abbastanza profumatamente pagati per svolgere il loro lavoro invece di scaricare sulle spalle dei cittadini disorientati responsabilità davvero troppo grandi? Non fa forse parte del loro mestiere ponderare scelte con coscienza e preparazione? È assolutamente vero che tutti i cittadini siano chiamati a informarsi sul quesito del Referendum, ma nessuno può rimuovermi dalla testa l’immagine di una nonnina anziana che a stento capisce quando i nipoti parlano magari di “Uozappa”… e siamo davvero sicuri che dei simil-vecchietti sarebbero gli unici a trovarsi in difficoltà dinnanzi a un astruso quesito di Referendum composto da 45 proposte tecniche? In tutta sincerità, con la mano sulla coscienza… suvvia! Ma a quanto pare questo 2016, gettando un occhio anche alla politica estera (dal Brexit all’elezione di Trump), è stato tutto un po’ proiettato verso la demolizione delle democrazie usando come armi le tradizionali istituzioni della democrazia stessa. Paradossale, ma vero.

Stendiamo tuttavia l’ennesimo velo pietoso di routine politica e cerchiamo di fare un po’ di sana informazione senza macchiarci troppo di propaganda politica. Del resto mi piacerebbe conservare vivo il fuoco delle parole del diplomatico Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. In fondo parlavamo di democrazia, no? Non sarebbe questa la sua massima espressione?

Iniziamo dunque con lo spezzare innanzitutto una lancia a favore di entrambe le posizioni, senza scendere troppo nel particolare. Ambedue le voci dicono alcune cose valide e altre meno, fanno proposte con pregi e difetti. Tutto sta nel mettere su due piatti della bilancia i pizzichi allo stomaco e i guadagni. Non è un caso che alcuni politici, come il consigliere regionale Michele Caiazzo, abbia dichiarato che forse sarebbe stato meglio lo svisceramento dei vari punti del Referendum invece di proporre ai cittadini un unico grande pacco.

 

QUANDO SI VOTA E COME FUNZIONA IL RISULTATO DEL REFERENDUM:

Dunque, ricapitoliamo: si vota domani, domenica 4 dicembre, dalle ore 7 alle 23. Non è previsto il quorum, ossia un numero minimo necessario di cittadini che vadano a votare affinché il Referendum possa essere considerato valido. Ergo questa volta vince la maggioranza dei voti a prescindere da quanti siano i votanti. Adesso possiamo aprire un ombrello per ripararci dalle polemiche, le accuse e le reciproche minacce apocalittiche e andare al sodo.

 

IL QUESITO SULLA SCHEDA:

Il quesito che leggeremo sulla scheda sarà: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della costituzione?”.

Proviamo a spiegare in parole semplici cosa significa tutto ciò.

  1. CHE COS’È IL BICAMERALISMO PARITARIO?

In Italia al momento la Costituzione prevede che il nostro Parlamento sia dotato di due rami: la Camera e il Senato. Entrambe svolgono le stesse funzione: fare le leggi (funzione legislativa) e concedere o revocare la fiducia al Governo. Ciò comporta che, in ambito legislativo, ogni legge debba essere discussa, approvata e votata dalle due Camere (ossia la Camera dei deputati e il Senato dicevamo). Se ad esempio in una Camera si apportano delle modifiche, la legge viene di nuovo inviata all’altra Camera affinché questa la discuta di nuovo alla luce delle modifiche, l’approvi e la voti. Un processo che in gergo tecnico si chiama navetta. Una lama a doppio taglio, certo, ma un sistema nato per garantire la scelta di compromessi fra tutte le idee politiche presenti in Parlamento. Se ad esempio un domani la Camera decidesse di vietare la vendita delle caramelle gommose, per assurdo, dovrebbe prima ottenere il consenso del Senato che potrebbe non essere d’accordo. In tal caso la legge rimbalzerebbe a destra e a sinistra fino a quando entrambe le Camere, probabilmente sfinite, accetterebbero di approvare un compromesso: si vietano le caramelle gommose solo a forma di orsacchiotto e quelle a gusto di limone. È quanto del resto è accaduto di recente con la Legge Cirinnà dove il testo è stato modificato diverse volte prima di essere approvato per accontentare un po’ tutte le idee. È questa la causa dei tempi lunghi di approvazione di una legge? Non esattamente. Il celebre Lodo Alfano, che nel 2008 proponeva l’immunità per le quattro massime cariche di governo, fu approvata in soli venti giorni. La lentezza non deriva tanto dal sistema, ma dagli interessi e le divergenze in gioco.

  1. QUINDI COSA ACCADREBBE SE LA RIFORMA VENISSE APPROVATA?

Verrebbe meno il bicameralismo perfetto e le funzioni e la composizione delle due Camere si differenzierebbero. La Camera dei deputati diventerebbe l’unico organo eletto che potrà accordare la fiducia al governo, approvare le leggi di bilancio e le leggi ordinarie. Il Senato, invece, non esisterebbe più. Al suo posto un nuovo Senato diverso.

  1. E COME SAREBBE QUESTO NUOVO SENATO?

Se vincesse il sì e la riforma venisse approvata, il Senato diverrebbe una Camera composta da 100 senatori fra sindaci e consiglieri regionali. Controindicazione: verrebbe concesso il privilegio dell’impunità ai primi cittadini d’Italia. Questo significa niente più arresti, niente intercettazioni o perquisizioni per loro senza autorizzazione del Parlamento. Per ben cinque anni, a tutto beneficio della prescrizione.

  1. COME SAREBBERO ELETTI I NUOVI SENATORI?

Ancora non si sa. Una legge elettorale per il nuovo Senato verrà approvata soltanto nel caso in cui la riforma costituzionale venisse approvata perché prima non è possibile. Quindi è ancora tutto da definire, un po’ campato in aria, sebbene il governo abbia anticipato che è fattibile pensare che gli elettori potrebbero indicare un consigliere-senatore in occasione del rinnovo dei consigli regionali delle propria regione su una scheda a parte. Pertanto, anche qualora vincesse la riforma, il nuovo Senato diverrebbe attivo nel futuro 2022, quando tutti i consigli regionali saranno stati rinnovati.

  1. DIMINUIREBBERO DAVVERO I PARLAMENTARI?

Se dovesse essere approvata la riforma, solo il numero dei senatori che passerebbe dagli attuali 315 a 100. Rimane invece lo stesso quello dei deputati.

  1. SI RIDURREBBERO I COSTI DELLE ISTITUZIONI?

I nuovi senatori svolgerebbero il loro mandato per un tempo pari a quello del mandato delle istituzioni territoriali di cui sono titolari. Percepirebbero lo stipendio non da parlamentari, ma quello che percepiscono come amministratori. Verrebbero eliminati anche i senatori a vita (fatta eccezione di diritto solo per gli ex presidenti della Repubblica dopo il termine del loro incarico). I senatori a vita attuali (quali Mario Monti, Carlo Rubbia, Renzo Piano ed Elena Cattaneo) tuttavia non verrebbero sostituiti. Quindi sì, si risparmierebbe. Curioso soltanto che molti fra coloro a sostegno della riforma non siano poi stati a favore di un abbassamento generale degli stipendi dei parlamentari quando è stato proposto. Sorge quasi il dubbio che possa trattarsi di uno specchietto per le allodole e che la riforma non venga proposta davvero per le nobili e cristalline ragioni di propaganda.

  1. CHE COS’È IL Cnel?

Il Cnel è il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Esso si occupa, come suggerisce il nome, delle leggi sull’economia e sul lavoro. Fornisce pareri su questi temi al governo e al parlamento, ma può anche proporre delle leggi. È uno degli organi previsti dalla costituzione. Per questo per sopprimerlo, come vuole la riforma, c’è bisogno di una legge costituzionale ed è stato tirato in ballo nel referendum. La sua eliminazione potrebbe rappresentare un risparmio, certo, ma fra le altre cose verrebbe triplicato il numero di firme necessarie per presentare una legge di iniziativa popolare (per proporre al Parlamento una legge). Da 50,000 firme si passerebbe infatti a 150,000. Prendiamo quindi di nuovo la bilancia e soppesiamo cosa riteniamo più vantaggioso.

  1. CHE COS’È IL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE?

Il titolo V della Costituzione è quello dedicato agli enti territoriali, ad esempio comuni, province, città metropolitane e regioni. È stato già modificato nel 2001, ma provocando difficoltà nell’interpretazione delle competenze tra Stato e regioni. La riforma vorrebbe modificare le materie di competenza dello Stato (che diverrebbero circa 20) e quelle di competenza delle regioni per eliminare le materie concorrenti, alias quelle su cui al momento possono legiferare sia Stato che regioni. La riforma propone anche la “clausola di supremazia” con cui, nei casi d’interesse nazionale, le decisioni dello Stato prevalgono su quelle delle regioni e l’abolizione delle province.

 

CONCLUSIONI:

Questo è grosso modo quanto. Nella speranza di aver chiarito qualche perplessità, ricordiamo che l’importante sia votare non a caso, ma con una certa consapevolezza e argomentazione della propria posizione, indipendente poi dalle divergenze di idee, visioni e interessi. Senza accapigliarsi. Repetita iuvant: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”.

Di Valentina Mazzella

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