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“Piccole donne” di Greta Gerwing: un nuovo racconto del grande classico

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RECENSIONE – La domanda che tutti avevano timore di porsi prima di guardare il film era: “Piccole donne” di Greta Gerwing reggerà le aspettative? Sarà all’altezza del classico di Louisa May Alcott? La risposta è “ni”, se vogliamo esprimerci con un linguaggio più informale.

Sicuramente un bel film. Sicuramente lo si consiglia agli appassionati delle sorelle March. Sicuramente eccezionale per quanto riguarda la scenografia e i costumi. Tuttavia appare piuttosto contorto l’adattamento della sceneggiatura. Probabilmente per non proporre al pubblico sempre la solita minestra, la regia di Greta Gerwing ha deciso di osare con una struttura narrativa diversa da quella del romanzo e delle precedenti trasposizioni cinematografiche. I fatti non vengono infatti raccontati in ordine cronologico. La Gerwing opta per una narrazione che è intreccio di episodi presenti e passati cuciti assieme da innumerevoli flashback per mettere in evidenza il rapporto di parallelismo che lega le molte situazioni contenute in “Piccole donne” e in “Piccole donne crescono”.

Fiore all’occhiello per mettere in risalto la dicotomia fra le due dimensioni temporali è lo studio accuratissimo della fotografia. Le scene della remota infanzia serena presentano colori accesi, nitidi e vivaci. Sull’altro piatto della bilancia il grigiore e le tonalità fredde con cui sono state filtrate le immagini di un presente instabile, puntellato da dolori, delusioni, paure, solitudine e incertezze. Una scelta significativa e brillante che aggiunge un tocco magistrale al montaggio.

Ciononostante nella prima parte il film procede zoppicando. È con il secondo tempo che decolla, il ritmo riprende. Diventa tutto più coinvolgente e alla fine ci si commuove anche. La pecca dell’inizio della pellicola risiede forse proprio nell’assenza di una narrazione lineare che rende abbastanza ostica la comprensione dell’incipit per chi non conoscesse già la trama del libro. Troppi salti temporali che disorientano lo spettatore. Senza contare che lo stesso aspetto penalizza anche alcuni personaggi di cui poco palpabile diventa l’evoluzione psicologica. È il caso dell’odiosa e capricciosa piccola Amy (Florence Pugh): troppo presto viene rivelata la donna forte, matura e innamorata che diventerà crescendo.

La performance del resto del cast è notevole. Non per niente il film vanta nomi di rilievo come Maryl Streep e Saoirse Ronan. Ci si innamora dell’incantevole Emma Watson che forse avremmo addirittura preferito nei panni di Jo piuttosto che di Mag. Laura Dern nel ruolo della mamma ha vinto il Premio Oscar come miglior attrice non protagonista. Non convince sempre, invece, il tanto osannato Timothée Chamalet. La sua interpretazione è incontestabile. Tuttavia, sebbene l’attore abbia ventiquattro anni, l’attore conserva un viso molto giovane (buon per lui), a tal punto da sembrare il volto perfetto per un Laurie adolescente, ma un po’ meno convincente quando Teddie diventa uomo adulto. Ad ogni modo, al di là delle diverse impressioni personali, “Piccole donne” di Greta Gerwing resta un buon prodotto per celebrare uno dei classici più amati della letteratura.

Di Valentina Mazzella

 

 

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