ATTUALITÀ – La tragedia del Titan ha lasciato tutti con il fiato in sospeso per interi giorni. In proposito è stato detto e scritto di tutto e di più. Titoloni a lettere cubitali, dossier di approfondimento e l’angoscioso countdown hanno dominato la scena dell’informazione internazionale quasi per una settimana. Qui non vogliamo ripercorrere i vari momenti della tragedia dalla scomparsa del sottomarino alla scoperta della sua implosione. Non vogliamo discutere circa la presunta o certa speculazione dei mezzi di comunicazione sulla notizia. Non approfondiremo le biografie delle cinque vittime super miliardarie a bordo del veicolo. Non indicheremo quali siano le altre esperienza folli e pericolose da migliaia di dollari in cui le persone più facoltose spesso si cimentano.
Del resto non lo abbiamo fatto nemmeno nei giorni precedenti. Tuttavia è un’altra la questione su cui vorremmo posare lo sguardo. Una delle repliche più ripetute nell’ultima settimana è stata soprattutto quella che accusava la tragedia del Titan di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da un tema altrettanto gravoso come le morti nel Mediterraneo. Ed eccoci qua a meditare su questo accostamento di per sé un po’ fuorviante. È un’associazione che dimentica una regola non scritta, ma importante del giornalismo. Una notizia è tale non quando il postino viene morso dal cane, ma quando è il postino a mordere il cane.
In soldoni una storia desta nel pubblico molto più interesse quanto più la sua narrazione risulta insolita e fuori dal comune. Ed è per l’appunto il caso di una vicenda in cui delle persone miliardarie – involontariamente – hanno pagato la propria morte con una cifra da capogiri. Un fatto che obiettivamente solletica moltissimo la curiosità dei lettori e degli spettatori per la sua natura insolita. Diverso è, invece, ascoltare gli innumerevoli aggiornamenti circa un tipo di evento a cui, purtroppo, la cronaca ha abituato tutti negli anni.
Banalmente si dà al pubblico il genere di notizia più ricercata. È un po’ il meccanico della domanda e dell’offerta. Sembra un discorso un po’ cinico, ma con esso non si desidera assolutamente sminuire il dolore e la sofferenza di chi scappa dalla guerra in cerca di una vita migliore. L’alta frequenza dei naufragi nel Mediterraneo non rende la morte dei profughi meno importante rispetto a quella dei cinque miliardari nell’Ocean Gate. Non c’entra il reddito e lo status come qualcuno ha spesso bofonchiato nei giorni. Non c’entrano molto nemmeno le ragioni diverse per cui si affronta il pericolo: da un lato per svago e dall’altro per fuggire, è noto a tutti.
A breve nessuno parlerà più del Titan. Il prossimo mese sarà già un episodio del passato. Forse in futuro a qualche casa di produzione cinematografica verrà in mente di produrne un film, chissà. Tuttavia presto torneremo tutti a commentare le morti in mare, argomento del resto approfondito da anni con documentari e prime pagine. Semplicemente per una settimana abbiamo premuto un tasto di stand-by. Abbiamo seguito perplessi e con ansia lo sciagurato epilogo del sottomarino. La leggendaria maledizione del Titanic è stata rievocata tra mito e realtà. Qualcuno ha avuto modo di approfondire temi circa la ricerca negli oceani e i progressi della tecnologia.
Possiamo addirittura aggiungere che la disgrazia del sottomarino dell’Ocean Gate ci ha abbia regalato anche delle riflessioni spaccando l’opinione pubblica. La prima su quanto ancora poco conosciamo il nostro pianeta e sull’incredibile forza della natura nel respingere l’uomo indietro. L’essere umano dovrebbe imbavagliare la sua sete di conoscenza? Ma, se non avesse raccolto nei secoli nuove sfide di volta in volta, non avremmo mai raggiunto l’attuale progresso. La seconda riguarda la vita e la sua relazione con la fatalità, su quanto sia giusto infilarsi o meno in situazioni con un alto margine di rischio. Il tutto ricordando infine come in fondo sia proprio vero quando si dice: “La morte non guarda in faccia a nessuno”. Quando bussa alla porta, spesso non c’è portafoglio che tenga.
Di Valentina Mazzella