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Noi, società occidentale, di fronte alla Parigi in fiamme del 13 novembre 2015

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Napoli – Lo spietato attentato terroristico che venerdì sera ha colpito Parigi, a meno di un anno dalla strage di Charlie Hebdo, non ha solo procurato 129 morti e oltre 300 feriti “offendendo la dignità umana”, ma ha fatto venire al pettine anche tutti i nodi occidentali. I grandi titoli dei media hanno definito il 13 novembre 2015 come un nuovo 11 settembre, quello europeo. In realtà l’attentato alle Torri Gemelle ha costituito quello che tecnicamente si chiama “un’accelerazione storica”: un evento che ha diviso la storia in un prima e in un dopo. Un prima e un dopo diversi nel modo dell’Occidente di guardare al mondo arabo, una data che ha reso l’Islam con il suo Corano e la sua cultura qualcosa di più vicino. Non più semplicemente una realtà lontana da relegare fra i minareti e i turbanti islamici delle storie de “Le mille e una notte”. Un prima e un dopo diversi nel modo di approcciarsi all’idea di viaggio e soprattutto al volo in aereo alimentando paure e sospetti nel cittadino del mondo del XXI secolo. Ebbene, il 13 novembre 2015 non è stato un nuovo 11 settembre. È stata “la riconferma” di quello spartiacque storico che nel 2001 c’è stato a New York.

La carneficina di Parigi ha scelto come teatro fra tanti luoghi quelli frequentati in gran parte da giovani: lo Stade de France, la sala concerto del teatro Bataclan, locali di ristoro in altre zone… Sono le nuove generazioni a essere state prese di mira e con loro il futuro. Quelle che non hanno vissuto i bombardamenti delle grandi guerre come gli anziani e che non sanno cosa significhi correre in un ricovero al suono di una sirena, nonostante i nonni non si stanchino mai di raccontarlo. Le generazioni da sempre abituate al benessere, al superfluo, alla diplomazia e alla guerra combattuta lontana da casa. L’attentato in Francia ci terrorizza perché non ci basta più cambiare canale o spegnere il televisore per non pensare alla guerra, perché abbiamo capito che la guerra non deve necessariamente aver luogo su terreni polverosi in mezzo ai carrarmati. Può interrompere la nostra quotidianità in qualsiasi momento. E non serve evitare solo le grandi folle dei raduni allo stadio, di un concerto o di un evento importante. La guerra può sopraggiungerci alle spalle anche durante una cena in famiglia in un ristorante o mentre sorseggiamo un aperitivo con gli amici. È la guerra del terrore, quella che mira a farci cambiare le abitudini di tutti i giorni. Il conflitto che, oltre allo strazio, al dolore e alla sete di giustizia o vendetta che sia, fa salire a galla polemiche e contropolemiche sulle contraddizioni e le ipocrisie della nostra società occidentale.

Noi, società occidentale, che predichiamo quotidianamente il laicismo di Stato, ma di fronte alla minaccia dei terroristi islamici parliamo di attacco agli Stati cristiani.

Noi, società occidentale, che tanto spesso in nome della stessa cultura laica rivendichiamo la scomparsa del crocifisso dalle scuole pubbliche, ma sbraitiamo contro lo “straniero” che ci tocca l’albero di Natale e il presepe.

Noi, società occidentale, sempre in lotta pure con noi stessi, che di questi tempi dimentichiamo che con l’albero di Natale e il presepe ce l’abbiano anche molti connazionali convertiti all’ateismo intollerante o altre minoranze religiose di cristianesimo protestante.

Noi, società occidentale, che ci proclamiamo allora cristiani, partecipiamo ai giubilei e ci facciamo il segno di croce passando davanti alle chiese, ma tra il “porgi l’altra guancia” e l’”ama il tuo nemico come te stesso” inseriamo “trucida il musulmano”.

Noi, società occidentale, che abbiamo impiegato secoli a rinfacciarci le Crociate etichettandole come “abominio contro l’umanità” e oggi ancora parliamo di “guerra di religioni”.

Noi, società occidentale, che cerchiamo vendetta per i nostri morti contro tutto l’Islam e non ci rendiamo conto che si tratta della stessa follia di Hitler che, secondo alcune tradizioni storiografiche, avrebbe fomentato la persecuzione degli ebrei per vendicarsi di una prostituta semita di Vienna che gli avrebbe trasmesso la sifilide o di un medico ebreo che avrebbe sottoposto a delle cure inadeguate la madre malata del Führer molti anni addietro, prima che tutto avesse inizio.

Noi, società occidentale, che ci sciacquiamo la coscienza ogni 27 gennaio, il Giorno della Memoria, commuovendoci e piagnucolando davanti alla proiezione televisiva de “La vita è bella” o di “Schindler’s List” e oggi, guardando i servizi giornalistici nel privato delle quattro mura domestiche, inneggiamo a Hitler e alla riapertura dei campi di concentramento, questa volta solo per i musulmani. Magari con l’aggiunta dei rom che in questi giorni passano in secondo piano.

Noi, società occidentale, che alle volte davvero sembriamo convinti di vivere in Dragonball e del fatto che per vincere il nuovo cattivo basterebbe incanalare verso di lui la malvagità del vecchio big bad.

Noi, società occidentale, che non capiamo che Hitler non era un Vegeta o un Majin Bu e che con i “se” e che con i “ma” la storia non si faccia, rivelando una conoscenza con lacune del passato e una lettura superficiale del presente.

Noi, società occidentale, che ripetiamo sempre che “la storia è importante perché dalla storia si impara a non commettere di nuovo gli stessi errori”, che studiamo Martin Luther King, Gandhi e Mandela fra i banchi di scuola e poi guardiamo la tv apostrofando l’ospite di turno nel piccolo schermo affermando che “si dovrebbe bombardare tutti, civili compresi” perché “l’erba è tutta cattiva”.

Noi, società occidentale, che siamo d’accordo con la guerra solo seduti sul divano seguendo la conduzione di Barbara d’Urso, ma che la guerra la combattano gli altri sul campo per permettere a noi di continuare a commentare in pace “Pomeriggio 5”.

Noi, società occidentale, che offuscati dalle nostre forme di estremismo, dalle nostre incoerenze e dai nostri pregiudizi sembriamo ostinati a non voler capire l’abuso che questo terrorismo fa dell’aggettivo “islamico” e l’incompatibilità del vero Islam con il regime di questi assassini che chiamiamo “estremisti” o “fondamentalisti”. Non comprendiamo che quell’“Allah akbar” è il grido di disumani mostri raggirati da chi, al di sopra di loro, ha la furbizia di mascherare interessi economici e politici con delle false ideologie religiose, il grido di marionette invasate manovrate da spietati marionettisti che gettano infamia e vergogna su tutto l’Islam.

Noi, società occidentale, che non vogliamo sentire ragioni, che respingiamo ogni fatto che dimostri l’invalidità del nostro generalizzare e storciamo forse il naso, senza argomenti, ascoltando addirittura la notizia, data solo di sfuggita, di Lassana Batihly: il giovane commesso musulmano di 24 anni che venerdì sera, durante la strage a Parigi, ha nascosto 15 ostaggi nella cella frigorifera del supermercato Kosher, dopo averne spento le luci e il sistema di raffreddamento, salvando la vita a tutti loro. Storciamo il naso quando ci vien detto che fra le 129 vittime vi erano anche delle persone musulmane.

Noi, società occidentale, che vogliamo chiudere le frontiere e non capiamo che questo non basti perché il pericolo ormai è dentro casa. E non perché “dovevamo pensarci prima”, ma perché non vale più il sillogismo della Fallaci “Non tutti i musulmani sono kamikaze, ma tutti i kamikaze sono musulmani” perché veniamo colpiti da quelli ormai considerati “figli della Patria” e da europei convertiti.

Noi, società occidentale, che non siamo disposti a metterci in discussione e a domandarci se forse abbiamo sbagliato qualcosa nei progetti di integrazione culturale e preferiamo semplicemente pensare che la multiculturalità sia un’utopia, parlando di “feccia intrinseca nella cultura araba di una discendenza anche a distanza di generazioni”. Discorsi che inconsapevolmente raccolgono l’eredità delle teorie pseudo-scientifiche di Cesare Lombroso sul concetto di “criminale per nascita” ripudiate fortunatamente da tempo dalla scienza moderna, svuotandole dei riferimenti alle caratteristiche anatomiche e sostituendovi componenti religiose.

Noi, società occidentale, che oggi condividiamo sui social network citazioni di Oriana Fallaci e post di scusa per non averle prestato ascolto a suo tempo senza magari averne letto neanche mezzo libro e senza capire che la sua “profezia” era solo una diagnosi e che le decisioni concrete ora spettino ai governi.

Noi, società occidentale, che sembriamo non capire che i politici al momento stiano semplicemente cavalcando l’onda emotiva delle popolazioni europee e le masse che ragionano “di pancia” incrementando una psicosi pubblica e sostenendo il gioco delle grandi industrie belliche.

Noi, società occidentale, che come Giorgia Meloni domandiamo solo da dove i musulmani prendano i soldi per costruire le moschee nei nostri Paesi e non da dove prendano le armi per combattere in Siria e per attentarci mentre beviamo un caffè al bar. I dati alla mano dicono da finanziatori senza volto dell’Arabia Saudita, della Turchia e del Qatar e che sul suolo nazionale spuntino come funghi moschee abusive. Allora se il timore, assolutamente giustificato e legittimo in questo clima di paura, è quello che le moschee in Occidente diventino un covo di complottisti jihadisti, forse avere sotto il controllo dello Stato e dell’ordine pubblico questi edifici e le attività svolte al loro interno sarebbe meglio del far finta che non ci siano già e opporvisi a prescindere per timore di essere “colonizzati”. Si tratterebbe della medesima forma mentis del “legalizzare per controllare” che tanti Italiani approverebbero già per la prostituzione e le droghe leggere, ma non per il culto di musulmani spesso loro connazionali.

Noi, società occidentale, che non vogliamo ammettere che la spietatezza e la vigliaccheria dei terroristi dell’Isis trovino terreno fertile e appoggio sull’opportunismo, il tornaconto economico, la viltà e la nefandezza di quello stesso Occidente (dall’America agli Alleati) che, legalmente o sottobanco, vende loro le armi e i rifornimenti per poi vendere a noi altro materiale bellico per difenderci e reagire di conseguenza.

Noi, società occidentale, che accusiamo il mondo arabo di essere medievale, ma poi non ci rendiamo conto che nel Medioevo stiano di lì a poco per precipitarci di nuovo anche i nostri approcci alla diversità e alla vita. Oscurantismo di là e oscurantismo di qua quando si discute dei secoli dal IV al XV, ma i medesimi errori li commettiamo oggi con l’aggravante della consapevolezza degli insegnamenti della storia che ignoriamo di proposito.

Noi, società occidentale, che non sappiamo andare oltre le nostre contraddizioni, le nostre ipocrisie e le nostre frasi fatte, da cui del resto è composto anche questo stesso articolo un po’ retorico, e ci ritroviamo come un cane che gira su stesso nel vano tentativo di mordersi la coda… senza soluzioni, sfiduciati e troppo spesso incapaci di nutrire speranza che il mondo possa cambiare e le cose andare in un altro modo.

di Valentina Mazzella

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