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Matilde Serao, una delle donne che hanno fatto grande Napoli – una targa la ricorda così

1842

Alle ore dieci di questa mattina, e’ stata inaugurata la targa in memoria di Matilde Serao, nella Galleria Umberto I, dove si trovava la redazione del quotidiano “Il Giorno“ fondato e diretto dalla letterata, primo direttore donna d’Italia. La commemorazione e’ avvenuta nell’ambito del programma del “Marzo donna 2019. Se tutte le donne del mondo…“.

Classe 1856, greca di nascita, napoletana di cuore, di animo e di adozione, Matilde Serao, dimenticata in fondo ai manuali di letteratura italiana quando le rifilano il titolo di verista minore e vanno oltre, e’ molto di più di quelle poche righe che le dedicano le storie letterarie. 

Quanto di più diverso in campo femminile l’epoca potesse offrire, passa alla storia anche per essere stata la prima donna italiana a fondare e dirigere un giornale, ma anche per essere stata una grande signora cosmopolita abituata a frequentare tutto il bel mondo anglosassone e francese dell’epoca.

Nota non per bellezza, ma per essere stata una donna discussa, accentratrice, indisponente e indipendente, al suo nome si lega quell’intenso momento di rinnovamento del giornalismo italiano che segna il passaggio dall’Ottocento al Novecento, ossia da un modo di fare informazione ancora, tutto sommato, artigianale, ad un altro tipo più efficace e impegnato. Candidata al Nobel, perduto per militanza antifascista e additata come contraria all’emancipazione femminile – lei che ha fatto dell’emancipazione il leitmotiv della sua vita – sposo’ Eduardo Scarfoglio – con il quale nel 1891 fonda il quotidiano “ Il Mattino “ considerato la sua vera creatura – gia’ incinta del loro primo figlio e affronto’ con grande coraggio l’adozione della figlia illegittima Paolina, nata dalla relazione del marito con Gabrielle Bessard e la tenne con sè anche dopo il divorzio dal marito. 

Nel 1904, fonda e dirige, unica nella storia del giornalismo italiano, il giornale “Il Giorno“, diretta emanazione delle sue idee politiche e culturali, con il desiderio di raccontarle come fosse un salotto. Ma un po’ più grande di quello di casa sua. 

Muore nel 1927, all’eta di 71 anni, lavorando sulla sua scrivania, nella sua Napoli; quella delle strade e dei vicoli della sua giovinezza, quella delle scale di palazzo Dentale dove viveva in povertà con la mamma che dava lezioni in casa mentre lei frequentava la Scuola Normale Eleonora Pimental Fonseca in Piazza del Gesu’, quella del marmoreo ingresso di palazzo Gravina sede delle Poste e Telegrafi dove fu’ impiegata, quella della superstizione del gioco del lotto e dei bassi. Quella delle leggende della città’ che le parla all’orecchio e le sussurra i segreti.

Muore nella sua città’ – madre a cui lei, scrittrice – figlia, dedica, armata di penna, nell’inchiesta giornalistica – quale prepotente denuncia al Governo – “Il ventre di Napoli“, un’appassionata rivisitazione degli splendori passati e delle miserie attuali, in occasione della famosa frase del  ministro De Pretis “Bisogna sventrare Napoli“, pronunciata dopo la visita del re Umberto I ai quartieri poveri della città’, che tanto amerebbero il sole e la luce, ma sono costretti ad ammucchiarsi per sopravvivere ai limiti dell’estenuazione e della miseria.

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