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“Maria Maddalena” di Garth Davis: il grosso kolossal religioso che non emoziona quanto il Vangelo

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Di Valentina Mazzella

RECENSIONE – Ricordate tutti l’esemplare episodio del Vangelo in cui una pubblica peccatrice veniva salvata da una sicura morte per lapidazione da un pacato intervento di Gesù? Lo stesso in cui il Nazareno provocò la folla con la significativa frase: “Chi tra voi è senza peccato scagli la prima pietra”, rammentate? Perfetto: è esattamente l’aneddoto che non vedrete nel film “Maria Maddalena” di Garth Davis che in questi giorni di Quaresima viene proiettato nelle sale italiane. A molti potrà sembrare strano che un film sul personaggio di Maria di Magdala non racconti il passo evangelico per la quale forse la donna è più nota, ma ecco la spiegazione: in soldoni il catechismo cattolico si è “un po’ aggiornato” e, dopo un’attenta e accurata analisi dei testi, gli storici sono giunti alla conclusione che non vi sia nessun elemento che dimostri che il personaggio di Maria Maddalena coincida con quello della donna adultera scampata alla “sete di giustizia” della folla. L’accaduto infatti viene raccontato nel Vangelo di Giovanni (Gv 8, 1-11) senza che l’evangelista specifichi mai il nome della protagonista. Al contrario il personaggio storico di Maria di Magdala compare con questo nome in tutti e tre i Vangeli sinottici per indicare una delle donne che assisteva Gesù con i beni e come “colei che era stata liberata da sette demòni“. Soprattutto si legge nel canone che abbia seguito il Nazareno nel suo ultimo viaggio verso Gerusalemme, che sia stata una delle tre Marie presenti sotto la sua croce, che abbia assistito alla deposizione del corpo di Cristo nel sepolcro e che addirittura sia stata la prima testimone della resurrezione di Gesù. A quanto pare sarebbe invece stato Papa Gregorio Magno nel 591 d.C. a equivocare per la prima volta, senza alcun riferimento testuale coerente, l’identità della Maddalena asserendo in una sua omelia che fosse la stessa donna salvata dalle pietre e perdonata. Un’immagine che per secoli ci ha tramandato un’idea di Maria di Magdala icona della vera conversione. Un esempio bellissimo in termini di messaggio, eppure storicamente non attendibile. Pertanto a restituire la dignità alla santa ci ha pensato Papa Francesco nel recente 2016, riconoscendo Maria Maddalena come “l’apostola degli apostoli”.

La lunga premessa approfondita fin qui sembra non attinente al film, ma è in realtà necessaria per comprendere al meglio l’obiettivo che la sceneggiatura si propone: ricostruire la vicenda di una grande donna troppo a lungo infangata senza riconoscerle il giusto peso che ha giocato nella testimonianza della Buona Novella. Proposito apprezzabile e lodevole, sebbene non si possa dire altrettanto della qualità del prodotto conseguito. La pellicola nel complesso è godibile e non è delle peggiori, almeno per chi stima il genere. È  un  kolossal, un grosso kolossal americano moderno a tema religioso. Pregevole è innanzitutto la fotografia: difficile non lasciarsi ammaliare dalle distese naturali e dai centri urbani della Terra Santa. Tuttavia c’è un piccolo segreto: alcune delle location scelte per girare il film sono italiane (altre in Spagna e a Malta). Nello specifico sono state ad esempio set Matera, Gravina in Puglia e Trapani, ma soprattutto come potrebbe l’attento occhio partenopeo non riconoscere nel colonnato del cinematografico Tempio di Gerusalemme quello della nostra Basilica reale pontificia di San Francesco da Paola di Piazza del Plebiscito a Napoli? Fra l’altro noi del Napolisera.it nel 2016 avevamo anche annunciato le date in cui le riprese di questo film avrebbero avuto luogo da noi e la ricerca per esse di un gran numero di comparse italiane. E proprio a proposito degli attori non si può non spendere un paio di parole per celebrare, al di là di tutto, l’interpretazione magistrale dei due protagonisti Rooney Mara, nel ruolo di una dolcissima ed eterea Maria Maddalena, e Joaquin Phoenix nei panni di un Gesù un pochino meno tradizionale del solito.

A questo punto, bando ai convenevoli, possiamo anche dire in sintesi cosa non ci abbia convinto di questo film, argomentando chiaramente poi punto per punto fra qualche riga: l’ambizione pseudo-femminista della prospettiva narrativa che sfiorisce in un femminismo fiacco e approssimato, la proposta di un Gesù di Nazareth che incarna più uno sciamano insicuro che il Figlio dell’Uomo descritto dal Nuovo Testamento, la scelta – probabilmente motivata da qualche forzata ragione politicamente corretta – di un Simon Pietro nero e la riscrittura a piacere – senza vere esigenze di copione – di alcune scene del Vangelo. Dunque, da dove iniziare?

Dall’orientamento femminista della pellicola che si avverte voglia non solo riabilitare la figura di Maria di Magdala, ma attraverso di lei anche evidenziare un po’ il ruolo importante che le donne hanno in punta di piedi giocato per il cristianesimo delle origini. Purtroppo il film non riesce in questo suo intento perché, focalizzandosi solo sulla protagonista, sotto questa prospettiva raggiunge un risultato molto piatto. Non basta raccontarci che ci sia stata una sola donna accanto agli Apostoli o buttare qua e là nella pellicola qualche esortazione alle donne, far riferimento ai loro timori nel farsi battezzare o commentare che le leggi debbano essere uguali per entrambi i sessi. Comprendiamo le ristrettezze in termini di tempo a cui il film si è dovuto adeguare, ma far magari presente che accanto alla Maddalena ad amministrare i beni ci fossero anche Susanna e Giovanna (come i Vangeli dichiarano) avrebbe contribuito a far capire al pubblico che Maria di Magdala non fosse un’eccezione. Soprattutto non si può voler valorizzare il ruolo della donna nei Vangeli negli anni della predicazione e poi eliminare del tutto la grinta e la forza di Marta e Maria di Betania, le sorelle di Lazzaro, le uniche che per l’epoca dalle Scritture pare non vivessero proprio in un sistema sociale patriarcale. È chiaro che nel film non ci fossero i tempi per approfondire i loro personaggi, tuttavia inadeguata è apparsa la scelta di cancellarne del tutto il loro rapporto di grande amicizia con Gesù quando nella pellicola il Nazareno si reca da Lazzaro morto e una delle due (non si sa quale) domanda: “Sei tu il guaritore? Ti stavamo aspettando”. Nei Vangeli le due sorelle invece vanno incontro a Gesù una alla volta e gli dicono per prima cosa: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. È il grido di sofferenza che ogni essere umano lancia dentro e fuori di sé contro Dio quando vive un lutto, ma non solo. Sono anche le parole che soltanto delle donne senza peli sulla lingua possono permettersi nell’affrontare di petto un Rabbì, delle donne forti che quasi rimproverano addirittura Gesù perché era loro amico ed erano in confidenza. Cosa sarebbe cambiato agli autori se la non identificata sorella di Lazzaro del film avesse recitato le parole del Vangelo piuttosto che la generica domanda di una sconosciuta in attesa di un santone di cui ha solo sentito parlare? In minutaggio della pellicola, niente.

Del resto la stessa figura di Gesù di Nazareth appare molto diversa da quella tramandata dalle Scritture. Mentre nei Vangeli abbiamo una persona che predica sempre con molta padronanza della situazione, nel film di Garth Davis il Messia sembra essere stato declassato a semplice guaritore, privo di quell’autorevolezza nel parlare che tanto aveva fatto inalberare il sinedrio. Abbiamo un Gesù che parla alle folle e va in trance come uno sciamano, un Gesù quasi insicuro che poco rassicura, ma che ha lui stesso bisogno di essere rassicurato. Un Gesù meno fermo e gioioso, ma quasi tormentato. È ovvio che si tratti del disegno delineato da un autore con scarsa dimistichezza con i testi biblici. E a quanto pare a nulla sono valsi i confronti con gli innumerevoli uomini di fede (anche loro non del tutto d’accordo con la pellicola) che hanno preceduto la realizzazione del progetto. Da una parte abbiamo una sceneggiatura che rivendica che Gesù fosse il Cristo e dall’altra poi si crede di sottolinearne anche la natura umana, oltre a quella divina, facendo piangere il Nazareno dopo aver dato di nuovo la vita a Lazzaro e non prima come scritto nel Vangelo. Perché piange nel film? Per aver sentito la vita scorrere lontano da sé, viene spiegato. Dov’è la differenza sostanziale? La rivelazione dei timori e della titubanza di Gesù è molto più toccante nei Vangeli quando avviene nell’orto di Getsemani con la celebre frase “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice!” seguita da “Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”  che ne conferma la forza nonostante le fragilità. Davanti a Lazzaro, invece, l’umanità di Gesù si manifesta nel suo dolore per la perdita dell’amico. Anche se sapeva di potergli ridare la vita a breve, c’è scritto che Gesù vide Lazzaro morto “e pianse”. Pianse come chiunque altro avrebbe fatto. Pianse come un Dio fatto Uomo che sperimenta il lutto come qualsiasi altra persona. Non era il momento per pensare ‘egoisticamente’ a se stesso dato che Lazzaro era suo amico, non uno sconosciuto.

Altro punto che ci lascia perplessi è il seguente: nella pellicola Simon Pietro è nero: forse agli autori è sfuggito che si stia parlando di un personaggio con un’identità religiosa ed etnica ben definita. Non è una scelta analoga a chi in passato ha deciso ad esempio di portare al teatro un Hermione Granger nera. Poco cambiava in quel caso. Ma per Simon Pietro (Chiwetel Ejiofor) è diverso. Non semplicemente perché la tradizione iconografica dai primi secoli ad oggi ci ha rivelato l’aspetto storico dell’uomo, ma soprattutto perché sappiamo che Pietro, prima di divenire il padre della Chiesa cristiana, sia nato Ebreo. Era nato a Betsaida in Galilea, al novantanove per cento era stato circonciso dopo otto giorni e aveva un nome ebraico. E gli Ebrei non sono semplicemente gli aderenti a una religione, ma costituiscono un popolo che faceva e fa a meno dei proselitismi perché fondamentalmente al popolo di Israele si apparteniene per discendenza da madre ebraica. Gli Ebrei, etnicamente parlando, appartengono al gruppo semitico. Pertanto Pietro doveva storicamente avere l’aspetto di un comune siriano o israeliano di oggi. È vero che esistano i Falascia, ossia degli Ebrei neri in Etiopia che sarebbero i discendenti di un gruppo di Ebrei fuggiti dall’Egitto all’epoca della diaspora e che giunti in Etiopia si unirono con le popolazioni autoctone del posto. Tuttavia va ricordato che tutt’ora i Falascia non vengono riconosciuti come “veri Ebrei” dagli Ebrei semiti e che da nessuna parte ci sia scritto che Pietro e suo fratello Andrea fossero Falascia o che venissero dall’Etiopia. Se così fosse stato, nei Vangeli non sarebbero stati censurati i pregiudizi nei confronti di tale provenienza come non sono stati fatti sconti ai Samaritani o alla stessa Nazareth. Pertanto rappresentare Pietro nero è storicamente inattendibile quanto i vari Gesù in passato raffigurati con tratti caucasici e occhi verdi alla faccia della sua origine palestinese.

Abbiamo accennato inoltre alla riscrittura a piacere di alcuni passi del Vangelo, alcuni dei quali abbiamo anche fin’ora illustrato. Una piccola parentesi va però dedicata all’ennesimo tentativo, sebbene molto velato, di proporre un rapporto amoroso fra Maria Maddalena e Gesù. E se qualcuno avesse dubbi in merito e non l’avesse percepito, tale insinuazione trova conferma in una dichiarazione dello stesso Garth Davis che in un’intervista a CoomingSoon.it ha affermato: “Per quanto riguarda il lato amoroso, a me interessava molto dare la sensazione che potesse andare in quella direzione, come se lei non capisse che tipo di connessione forte ci fosse con Gesù. Nel film c’è un momento in cui si capisce che è amore, è palpabile, e sarebbe potuto accadere sicuramente, solo non in questo film. Ma questa attrazione c’è e forse rende tutto più potente”. Quindi si è optato per una relazione più platonica, ma si avverte ugualmente una tensione che va oltre il semplice rapporto di amicizia. Niente di cui stupirsi se si considera che principale fonte per scrivere il soggetto sia stato il Vangelo apocrifo e gnostico di Maria, spesso strumentalizzato dai seguaci delle teorie alla Dan Brown.

In ultimo per la chiusura del film si è optato per un finale alternativo di cui, se esiste, non si comprende in toto a quale significato abbia voluto rimandare. In breve, se nel Vangelo è raccontato che Maria Maddalena sia stata la prima testimone diretta della resurrezione di Gesù, il film sembra quasi che le abbia tolto questo primato. Nel film non abbiamo più una donna affranta che al sepolcro si dispera per la scomparsa del corpo del suo Maestro e poi l’incontro con Gesù in carne e ossa. Al posto di questa versione assistiamo a una sequenza in cui la Maddalena rincontra Gesù risorto in una dimensione un po’ ambigua, quasi onirica. E quando va a riferire il tutto ai Dodici ci ritroviamo di fronte a degli Apostoli diffidenti, a dispetto di quanto raccontato dalle Scritture. Soprattutto Pietro per tutta la pellicola ci appare scontroso e quasi invidioso. L’unico dei discepoli di cui si riesce ad apprezzare la profondità psicologica assegnatagli dal film è paradossalmente Giuda Iscariota (Tahar Rahim), forse l’unico personaggio riuscito bene e che riesce a strappare agli spettatori, nonostante tutto, un po’ di tenerezza nella sua impaziente cecità, capace di condurlo finanche al tradimento.

In conclusione siamo di fronte a un kolossal assolutamente apprezzabile per le qualità estetiche, ma da bocciare sotto molti punti di vista per quanto riguarda i contenuti. Ciononostante resta nell’insieme un film apprezzabile se se ne vuole almeno riconoscere lo sforzo. In diverse occasioni riesce anche a commuovere il pubblico fino alle lacrimucce. Però resta un’opera cinematografica che va guardata senza troppe aspettative, nella consapevolezza che sia ancora molto lontana dal trasmettere emozioni e insegnamenti edificanti che il Vangelo da due millenni regala.

 

 

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