di Mario Civitaquale
Napoli Follia.
Non ci sono altre parole per descriverla.
Anche se verosimilmente nelle prossime 48 ore ci sarà il terzo slittamento per quanto riguarda la ripresa degli allenamenti del Napoli, per ora gli azzurri restano convocati il 25 marzo.
Tra appena tre giorni.
Tuttavia, considerata l’emergenza Coronavirus sempre più avvertita in Italia, e non solo, è del tutto improbabile che gli azzurri possano ricominciare ad allenarsi a Castel Volturno così presto.
Ma ad oggi è anche impossibile fissare una nuova data.
E’ della serata di ieri l’ultimo provvedimento, forse tardivo, del Presidente del Consiglio Conte con cui si è disposto di chiudere in tutto il territorio nazionale ogni attività produttiva non necessaria, non indispensabile a garantire beni e servizi essenziali.
Ed è di ieri il bollettino più tragico dall’inizio dell’epidemia, trasformatasi poi in pandemia: 793 morti e 4821 contagiati.
In questa situazione come si può pensare al calcio, come si può discutere sulla ripresa degli allenamenti. E soprattutto che senso avrebbe.
Il virus è ormai diffuso in tutta Europa, con decorsi e tempi diversi.
Si ha la sensazione che prima di metà maggio, a voler essere ottimisti, non si possa iniziare a far rotolare il pallone.
E allora che motivo c’è di riprendere gli allenamenti due mesi prima, esponendo calciatori, allenatori, staff tecnici, massaggiatori, fisioterapisti e chiunque altro ruota intorno ad una squadra di calcio professionistico, e le loro famiglie, ad un rischio inutile.
Si ribatte “si ma la preparazione, la tenuta, la forma fisica”.
Ma a parte che ormai gli atleti sono attrezzati per allenarsi da casa e perfettamente in grado di curare l’alimentazione, con direttive inviate telematicamente con ogni mezzo.
E per quanto riguarda il “mettere minuti nelle gambe”, il “lavoro con il pallone”, il “ritmo partita”, sono aspetti che adesso non hanno senso visto che è impossibile fissare una data per la ripresa delle competizioni.
E poi in ogni caso si ripartirebbe tutti da zero. Quindi perché affrettare i tempi esponendosi a rischi inutili.
Perciò come lavoratori dipendenti e professionisti, imprenditori e ristoratori restano a casa a fare i conti con l’emergenza prima e la crisi economica poi, si ha la netta sensazione che il calcio possa aspettare.