di Stefania Schiavi
Libero Grassi, un uomo che si è opposto alla mafia con la sua diversità.
All’inizio degli anni ’90 il fatto che la maggior parte degli imprenditori e commercianti siciliani pagassero le tangenti ai mafiosi era assodato: tutti lo sapevano, ma poco veniva fatto in concreto per opporsi a questo fenomeno.Il pagamento al clan del quartiere per assicurarsi la “protezione” aveva, e molto spesso ha, lo stesso valore di un pagamento di un bollettino postale: qualcosa di assolutamente e sorprendentemente normale. Libero Grassi, a capo dell’azienda di biancheria intima Sigma di Palermo e da sempre attivo sul piano politico e culturale, decise di rispondere pubblicamente alle intimidazioni ricevute dal clan mafioso dei Madonia. scrivendo in maniera sferzante queste semplici parole: «Caro estortore, volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui».
Una lettera in cui l’imprenditore riversa la necessità di difendere la sua dignità, consapevole che una volta pagata una tangente ne sarebbe arrivata un’altra. E un’altra ancora. Il rischio di far fallire l’attività sarebbe diventato sempre più concreto e il solo pensiero di assoggettare se stesso, la sua famiglia, i suoi dipendenti e il lavoro di una vita a un potere terzo e criminale, lo spinsero a far diventare la sua denuncia un fatto di pubblico dominio.Dopo la pubblicazione della lettera e la denuncia fatta alla polizia, a Libero Grassi venne offerta una scorta, che lui però rifiutò: stava agendo da libero cittadino, comportandosi nel modo che più riteneva consono e in pericolo non ci si voleva sentire.Una mattina, quando la fabbrica già era sorvegliata dai poliziotti, vennero due uomini che si presentarono come “ispettori della sanità” e che a tutti i costi volevano incontrare il proprietario. Erano i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, gli esattori del pizzo, che poco tempo dopo vennero arrestati assieme ad un complice e ad altri cinque mafiosi del clan.Se da un lato l’azione di Libero Grassi stava incominciando a dare i suoi frutti soprattutto sul piano legale, dall’altro il muro di gomma dell’omertà, dell’abitudine e della silenziosa collusione ricacciava violentemente indietro tutti i suoi sforzi. Quasi nessuno infatti, a parte la sua famiglia, le Forze dell’Ordine e la Confesercenti palermitana, si era schierato al suo fianco.Salvatore Cozzo, presidente provinciale dell’Associazione industriali, aveva accusato l’imprenditore di aver fatto troppo rumore e di aver attirato l’attenzione su un problema che di fatto non sussisteva.Libero Grassi, credeva che sarebbe bastato creare delle assicurazioni collettive, unirsi e fare rete per inclinare lo stato delle cose. Il pensiero principe, però, era un altro: se tutti si fossero rifiutati di pagare il pizzo in poco tempo le attività commerciali siciliane avrebbero finito per chiudere i battenti. Dichiarazioni come queste non fecero altro che legittimare ufficialmente la sovranità mafiosa sulla vita delle persone e sull’economia dell’isola. Il proprietario della Sigma era quindi, fondamentalmente, solo contro tutti.Il 4 aprile 1991, una sentenza del giudice istruttore di Catania Luigi Russo, giunge come l’ennesimo schiaffo a Libero Grassi e a chi, prendendolo ad esempio, aveva anche solo pensato di non abbassare la testa.In quella sentenza fu stabilito, infatti, che pagare la “protezione” ai boss non era reato, legittimando il meccanismo del racket anche dalle aule di un tribunale e con il sigillo dello Stato. Così facendo, il giudice Russo aveva dato il suo benestare alla mafia e al suo controllo del territorio.Malgrado il clima sfavorevole, Libero Grassi non si arrese e continuò a tenere accesi i riflettori sulla sua storia. L’11 aprile del 1991 fu ospite della trasmissione di Michele Santoro, Samarcanda, dove alla semplice domanda “ma perché non paga? A Gela paga il 90% dei commercianti”, lui rispose “perché non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia di dignità di imprenditore”.Parole come queste non potevano passare inosservate: sia da chi aveva sete di giustizia, sia da chi quella voce aveva intenzione di farla tacere. Malgrado la visibilità ottenuta, Libero e la sua famiglia si sentivano abbandonati dalla loro città, soli nella loro lotta, quasi scherniti. E fu così che passarono i mesi, l’attenzione pian piano andò scemando e si decise che era tempo di fermare Libero.Era il 29 agosto 1991, non erano passati nemmeno nove mesi dalla pubblicazione della lettera all’estortore sul Giornale di Sicilia, eppure per Libero tutto era cambiato. Alle 7.25 di mattina dopo aver salutato sua moglie Pina, fiera spalla di tutta la sua lotta, uscì di casa per andare al lavoro a piedi, come sempre.Quella mattina però ad attenderlo c’erano Salvino Madonia e Marco Favaloro del clan dei Madonia, arrestati qualche anno dopo. Il primo dei due seguì Libero nascondendo la pistola dietro un giornale, per poi freddarlo con quattro colpi alle spalle. Libero non riuscì nemmeno a vedere in faccia il suo assassino, così come non riuscì a vedere quella di chi in silenzio lo aveva deriso, scoraggiato e abbandonato.
Il 30 agosto 1991, il giorno dopo la sua morte, uscì sul Corriere della Sera un’altra lettera dell’imprenditore, questa volta più lunga e dettagliata, dove raccontava tutte le vicende accadute in quel complicatissimo 1991.
Libero Grassi è stato un cittadino come tanti, che a differenza della maggioranza era conscio dei suoi diritti e dei suoi doveri, della sua dignità e della sua libertà, con una profonda volontà anche politica di cambiare la realtà che lo circondava. Bisognerebbe parlare di Libero Grassi come di un uomo che prima di tutto ha voluto essere un esempio per chi era come lui, per chi era vittima di un sistema marcio, delinquente e capillare.
Libero è tutt’oggi un esempio di cittadinanza attiva, dignità e libertà.