CASAPESENNA – C’erano una volta la Legge 104 che tutelava i diritti dei diversamente abili nei contesti sociali – inclusa la scuola – e la Legge 517 del 1977 che promuoveva la figura dell’insegnante di sostegno come strumento per l’integrazione dello studente disabile nel contesto classe. Poi arrivò la Riforma della Buona Scuola bis del 2017 che rivoluzionò l’insegnamento dall’accesso alle cattedre alle modalità di esame, dal diritto allo studio al sistema educativo dai 0 ai 6 anni e tante altre cose. Ad esempio la Riforma della Buona Scuola disse anche di voler promuovere l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità modificando i commi 180 e 181 dell’art. 1 della legge 107/2015. Un occhio di riguardo per tutti gli alunni con Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) o con Bisogni educativi speciali (Bes). Meno burocrazia, docenti più qualificati, meno dispersione (non più di 22 alunni nelle classi prime di ogni ciclo che annoverano ragazzi con disabilità), nuovi iter di certificazione delle disabilità. Belle promesse esplicate così, ma nei fatti? Nella pratica questo progetto di inclusione funzione? Tanta insoddisfazione e molto malcontento.
Da quando il Consiglio dei Ministri ha approvato i decreti che Gentiloni e la Ministra dell’Istruzione Fedeli hanno definito “un’iniezione di qualità”, associazioni e sindacati non hanno smesso di esprimere il proprio disaccordo. Protestano anche studenti e genitori. Come potrebbe essere diversamente? Leggendo diverse pagine di capriole e cavilli giuridici si comprende in parole povere che la nuova normativa per i diversamente abili conduca in realtà a risultati turbanti. Per esempio una disabilità grave non avrà più diritto in automatico al massimo delle ore di sostegno, come è sempre avvenuto e sembra normale concepire. L’ultima parola spetterà ai nuovi “Gruppi per l’Inclusione Territoriale” (GIT): commissioni esterne a livello locale, composte da un tecnico presidente, tre presidi e due docenti (nominati dall’Ufficio scolastico territoriale), organi che risponderanno direttamente all’amministrazione. Le scuole, intese come singoli istituti, pertanto non avranno voce in capitolo in base alle reali esigenze degli studenti.
Di questa tragica situazione ci porta testimonianza un nostro lettore, padre di un ragazzino di dodici anni che frequenta la seconda media presso la Scuola Media Statale Giovanni Pascoli di Casapesenna, nella provincia di Caserta. Un papà spazientito e affranto che ci racconta come l’A.S.L. di competenza abbia assegnato al figlio un insegnamento di sostegno con rapporto 1:1 per un totale di 18 ore settimanali, come purtroppo la Buona Scuola bis accetta in nome di una presunta maggiore integrazione. Peccato che a scuola, spiega sempre il nostro lettore, l’insegnante due volte a settimana possa venire dalle undici fino alle ore 15:30, lasciando in questo modo di fatto ‘scoperta’ la prima metà della mattinata. Poco fruttuoso se si considera che il ragazzo il pomeriggio non può frequentare le lezioni perché deve partecipare a delle terapie che gli sono state assegnate dall’A.S.L. secondo il progetto ABA. A quanto pare non sono previste neanche sostituzioni perché il padre ci racconta di spiacevoli situazioni come una settimana in cui la professoressa di sostegno si è assentata per motivi di salute e non si è provveduto a una supplenza, lasciando che il ragazzo restasse in classe senza sostegno per un numero considerevole di giorni. Ciliegina sulla torta la medesima insegnante di sostegno affianca anche un secondo allievo con una disabilità diversa. Diverse sollecitazioni alla dirigenza da parte del genitore e dell’associazione “La Forza del Silenzio” non hanno trovato risposta.
Che la riforma della Buona Scuola bis sia l’ennesimo escamotage per deresponsabilizzare le molteplici parti in causa ogni qualvolta ci sia un caso di inadeguata risposta scolastica alle esigenze degli studenti? Se non si sa più nemmeno di preciso a chi rivolgersi, in che modo effettivamente la promessa di “meno burocrazia” si concretizza? Perché è così: è a monte che bisogna indagare, sulla scia delle scelte approssimate del Governo che legifera senza contestualizzare al meglio la realtà scolastica italiana. Perché, pur con le migliori intenzioni, come può una scuola andare incontro alle famiglie senza degli appropriati strumenti normativi offerti dall’alto? Così anche gli istituti si ritrovano con le mani legate, nonostante l’impegno e la devozione alle cause dei propri alunni, come in buona fede confidiamo sia il caso della Scuola Media Giovanni Pascoli di Casapesenna. Quand’è che si capirà che investire sulla scuola non sia roba da matti, ma che significhi puntare sul futuro? La speranza è che la faccenda si risolva al più presto perché in questi termini le vere vittime del sistema sono gli studenti. Intanto risuonano nella testa delle frasi che un mio docente di Letteratura borbottava come un mantra al liceo: “Ah, povera scuola, povera Italia, poveri noi!”.
di Valentina Mazzella