RECENSIONE – Sicuramente “Killers of the Flowers Moon” è l’ennesimo capolavoro di Martin Scorsese. Il film getta lo spettatore prepotentemente nella narrazione di alcuni fatti storici che non sono comunemente noti a tutti: quelli inerenti alla tribù degli Osagi. Nella seconda metà dell’Ottocento il governo statunitense costrinse questo popolo di nativi americani a raggiungere l’Oklahoma, stabilendosi poi nel territorio. Il film è ambientato negli anni Venti del Novecento, quando alcuni membri scoprono il petrolio grazie al quale gli Osagi diventano estremamente ricchi. Tuttavia è anche il momento in cui hanno inizio i loro problemi.
Un manipolo di bianchi avidi e senza scrupoli accorrono nella riserva. Con stratagemmi più o meno velati, cominciano a sterminare la comunità per appropriarsi del denaro e dei beni di valore degli Osagi. La sceneggiatura è stata scritta da Scorsese a quattro mani con Eric Roth, penna che ha una lunga filmografia eccelsa alle spalle (nel 1995 vinse l’Oscar per “Forrest Gump”). Fonte di ispirazione per il soggetto il romanzo “Gli Assassini della Terra Rossa” di David Grann.
Il cast è eccezionale. Brillano su tutti Robert De Niro, Leonardo Di Caprio, Lily Gladstone e Brendan Fraser. Le interpretazioni sono meticolose e all’altezza delle aspettative. Le candidature agli Oscar sono praticamente assicurate. La scelta delle scenografie e la cura dei costumi coronano una fotografia già di per sé dall’incredibile estetica. La regia di Scorsese e l’armonia del montaggio regalano un prodotto superlativo dal ritmo incalzante e la trama coinvolgere. Eppure, per il pubblico meno avvezzo alla filmografia del Maestro e meno appassionato al genere, le tre ore e mezzo di pellicola registrano un calo dell’attenzione nell’ultima ora del film.
Probabilmente perché l’opera non è un vero giallo. A dirla tutta nemmeno si propone per la categoria, ma senz’altro a un certo punto “Killers of the Flowers Moon” diventa la storia di un’indagine. Lo spettatore vive la ricerca senza suspense perché conosce già i responsabili dei delitti. Il film racconta piuttosto la fame di giustizia e verità di un popolo massacrato dall’avidità indomita dell’uomo bianco. Delinea perfettamente – in maniera netta – la linea di confine tra il bene e il male, con guizzo molto razionale. Si palpano tutti i sensi di colpa che tormentano la cultura americana da generazioni.
Nonostante non manchino le scene drammatiche, a questo giro Scorsese non riesce però a regalare momenti capaci di evocare lacrime sincere. Non desta un’empatia viscerale nei confronti delle vittime. Raccoglie umanamente il consenso, ma senza stringere un nodo alla gola. In realtà non fa vibrare nemmeno per la rabbia o l’odio. Non accarezza quelle corde emotive che aveva abbondantemente toccato ad esempio in “Silence” (2016). Il risultato è privo di quella componente divisoria capace di scuotere gli animi con una stretta allo stomaco. Non coinvolge nei sentimenti, non avvicina alla psicologia dei personaggi. Tuttavia “Killers of the Flowers Moon” resta un lavoro confezionato divinamente. Ha il merito di raccontare con potenza una storia taciuta a lungo. Una pagina che è giusto ascoltare dopo decenni di vergognoso silenzio per risvegliare le coscienze sui crimini dell’umanità.
Di Valentina Mazzella