Di Giacomo (S.PP.) – Le carceri campane sono diventate piste di atterraggio per droni
“Quindici cellulari più alcune sim ed un significativo quantitativo di droga in poche ore in viaggio su droni diretti alle carceri di Benevento e Secondigliano: sono solo l’ultimo bottino del sequestro ad opera della Polizia Penitenziaria che da tempo, nonostante non disponga di mezzi e strumenti specifici, si è specializzata nell’intercettare i droni. La realtà è che le carceri campane sono diventate vere e proprie piste dove per i droni è possibile atterrare e consegnare facilmente ai detenuti telefonini, droga e persino armi”. A sostenerlo è il segretario generale del Sindacato Penitenziari – S.PP. – Aldo Di Giacomo per il quale “in questo primo scorcio di nuovo anno si è superata la media nazionale del 2021 di 6 telefonini e 50 grammi di sostanze stupefacenti sequestrati la settimana. E’ solo uno degli esempi del fallimento totale del nostro sistema penitenziario con la possibilità di far entrare in cella di tutto. E a proposito dei droni va intensificata l’attività per impedirne l’atterraggio nelle carceri. Ad un tecnico esperto bastano 80 euro per intervenire e rimuovere le limitazioni imposte agli apparecchi dalle Autorità di volo. A fronte di questo, come è stato sperimentato, un sistema, brevettato da un’impresa israeliana, esiste ed è efficace. Ci sono tante soluzioni, che possono vedere in tempo reale la posizione, altitudine, velocità, direzione del drone in avvicinamento, ed altre più economiche come la recinzione attraverso reti con una spesa decisamente ridotta ed un risultato efficace. A questo punto – dice Di Giacomo – la nostra domanda diventa non solo lecita ma anche “pesante” di problematicità: perché non si mettono in atto le misure più idonee a bloccare l’arrivo di droni? Ci sembra davvero difficile solo pensare che l’Amministrazione Penitenziaria non conosca il “segreto di Pulcinella”, vale a dire come manomettere il drone per aggirare il divieto di volo. Il risultato di tutto questo è che nelle carceri circolano troppi telefonini strumenti essenziali per capo clan e uomini di spicco della criminalità organizzata per continuare a comandare, ad impartire ordini ai territori e non certo per parlare con mogli e amanti. Il nostro – aggiunge Di Giacomo – non è un allarme isolato: da tempo alcuni magistrati antimafia mettono in guardia sul diffuso impiego di telefonini dal carcere che tra l’altro vanifica proprio il loro grande lavoro e quello degli inquirenti con il rischio sempre più diffuso che chi ha subito violenze, ricatti, richieste estorsive, per paura, rinunci a collaborare”.