RECENSIONE – Dal 14 aprile nelle sale italiane è approdato il nuovo film Disney “Il libro della giungla” nella sua versione live-action, ossia “con attori veri”, sebbene di fatto l’unico vero interprete in carne e ossa in tutta la pellicola sia Neel Sethi. Parliamo del piccolo scelto fra milioni di candidati ai provini che ci sono stati negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Nuova Zelanda e in Canada che è riuscito a stupire tutti con la sua ottima performance nei panni del coraggioso Mowgli sul grande schermo. Non deve esser stato semplice recitare tutto da solo, e soprattutto alle prime armi, in un ambiente fittizio e con altri personaggi realizzati interamente con il ricorso al digitale.
La regia del film porta la firma di Jon Favreau, già noto per i suoi “Iron Man” ricchi di effetti speciali. Non ci stupiamo dunque nel trovarci di fronte a una pellicola che ha ricostruito la giungla e i suoi abitanti grazie a innovative tecniche cinematografiche come il rendering fotorealistico, immagini generate al computer e la motion capture. Del resto non sarebbe potuto essere altrimenti e il risultato, soprattutto per chi ha l’opportunità di godere della proiezione in 3D, è sorprendentemente eccellente.
La trama si propone agli spettatori fedele al cartone animato del 1967, l’ultimo classico curato da Walt Disney in persona prima della sua morte. Si conserva perciò ancora lontana dai contenuti reali del capolavoro letterario di Kipling per adattarsi maggiormente a un pubblico di bambini e famiglie. Tuttavia questa variante arricchisce la storia di Mowgli che tutti conosciamo con preziosi dettagli e alcune modifiche dovute. Piccoli accorgimenti tesi al miglioramento. Si pensi alla decisione di rendere Re Luigi un Gigantopithecus (gigantesca specie di primate estinta da milioni di anni), dai modi allusivamente mafiosi, perché gli oranghi non sono nativi dell’India oppure al doppiaggio femminile del serpente Kaa (Scarlett Johansson in America, Giovanna Mezzogiorno in Italia) per equilibrare la presenza di troppi maschietti.
La vicenda appare più lineare nella narrazione, offre maggiori spunti di empatia e personaggi dotati di più spessore. Il tutto ci dà la possibilità di assaporare una trasposizione de “Il libro della giungla” sicuramente più matura rispetto alla precedente, senza però rinunciare alle intoccabili canzoni che, come “Lo stretto indispensabile”, da generazioni hanno inciso la storia del piccolo selvaggio allevato da lupi, pantere e orsi nei cuori di grandi e piccini.
Di Valentina Mazzella