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Disabilità, scuola, lavoro ed inclusione digitale

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Napoli – Siamo alle porte di una nuova rivoluzione il cui cambiamento, benché in Italia non ancora sostanzialmente evidente, è già radicalmente presente nei paesi oltreoceano; stiamo parlando della rivoluzione industriale 4.0 che prevede l’utilizzo dei robot in modo esponenziale in quasi tutti gli ambiti lavorativi. La grande maggioranza dei lavori, infatti, si basa sulla routine, sulla ripetizione di azioni sempre uguali che con l’avanzare dell’elettronica, del software e dell’intelligenza artificiale, possono essere svolti da sistemi completamente automatizzati: un cambiamento considerevole per le aziende in termini di produttività, efficienza e risparmio economico. Ed il lavoro degli “umani”? Di cosa si occuperanno le future generazioni? Cresceranno i tassi di disoccupazione, cresceranno le stratificazioni sociali, aumenteranno i conflitti per potersi assicurare quei “pochi posti al sole “ancora disponibili. E noi? Parlo dei “noi” che già da sempre ci sentiamo ai margini di una società che dalla notte dei tempi ci ha sempre offerto meno possibilità: meno possibilità di studiare e qualificarci, ostruendo i nostri percorsi con barriere architettoniche e lasciandoci “istruire” da gente incompetente, meno possibilità quindi di ambire a posti di lavoro a cui avremmo voluto e potuto aspirare ma che di fatto possiamo solo sognare dal piccolo delle nostre enormi disabilità. Ed ora, anche ora che la società cambia, che il mondo del lavoro cambia, tra i miliardi di progetti e finanziamenti richiesti dalle scuole e dalle aziende, non ce n’è uno che miri a riqualificare anche le “nostre” competenze. L’integrazione sociale arranca sempre di più e nei centri di formazione, in primis la scuola, ci si riempie la bocca solo di “belle parole” e di mille scartoffie, di fatto si fa poco o nulla per garantire la “vera” inclusione perché mancano del tutto degli strumenti per farlo. Son trascorsi quindici anni da quando l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha sottolineato l’importanza di un” progetto di vita” che accompagnasse la persona con disabilità lungo tutto l’arco della sua istruzione e formazione sia per sviluppare le proprie potenzialità in vista di una collocazione sociale e lavorativa dignitosa, di fatto gli interventi messi realmente in atto sono per lo più di “assistenzialismo” e non di vera “formazione”. Il punto è che non serve “prendersi cura” solo della malattia quando di fatto non si aiuta la persona “psicologicamente” ad accettarla e a superarla, quando tutto ciò ci porta a sentirci un peso anche su quei miseri impieghi che ci vengono destinati, grazie ad una legge che ancora riesce a tutelare i più fortunati. Non è bello sentirsi “di troppo” e non lo sarà per nessuno degli esseri umani, disabile o no, che sarà sostituito da una macchina; se questo è il destino dell’umanità presto di umano non ci resterà che la disperazione di una nuova povertà.

 

Di Giuseppe Musto

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