CALVI RISORTA (CE) – “Non sono mai soddisfatti” oppure “Proteste esagerate”: oggi tuonano ancora più inadeguate le parole del Ministro della Salute Orazio Schillaci dinnanzi ai recenti scioperi dei medici e degli infermieri. Ogni giorno i fatti di cronaca dimostrano come le richieste del personale sanitario siano una legittima rivendicazione di ascolto. Una riflessione lampante ci è stata offerta su un piatto d’argento da un grave episodio accaduto la notte tra il 7 e l’8 dicembre presso la REMS (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) di Calvi Risorta, in provincia di Caserta.
Alcuni sanitari hanno subito l’aggressione di uno dei pazienti-detenuti “rientrato ubriaco e visibilmente agitato”. Stimate le condizioni dell’uomo, il personale ha avuto la prontezza di allertare i Carabinieri e il 118 per richiedere un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio). In presenza della divisa, il detenuto si è provvisoriamente calmato, sottoponendosi alla terapia. Tuttavia, non appena i Carabinieri hanno abbandonato la REMS, il paziente ha avuto uno scoppio di ira. Ha lanciato delle pietre contro le auto del personale. Ha aggredito infermieri e medici con calci e pugni. Uno dei sanitari ha addirittura ricevuto cinque giorni di prognosi. Sono stati documentati anche danni all’interno dello stesso edificio.
Una vicenda raccapricciante anche solo da raccontare. A dar voce alle sue vittime è intervenuta fortunatamente l’associazione “Nessuno tocchi Ippocrate”, nata di proposito per denunciare le violenze ai danni del personale medico e infermieristico. La realtà è che in Italia vi sono nel settore sanitario innumerevoli vuoti normativi. Ad esempio, da manuale, una REMS è “una struttura residenziale che svolge funzioni terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative, con permanenza transitoria ed eccezionale”. In soldoni ciò significa che si tratta di una struttura sanitaria destinata – come si sarà già intuito – persone che hanno commesso un reato e allo stesso tempo che siano affette da disturbi mentali (infermi di mente). Pazienti, ergo, socialmente pericolosi.
Non è sempre stato così. In origine esistevano i manicomi giudiziari in cui venivano accolte persone che avevano commesso un reato in stato di infermità mentale. L’individuo, sebbene prosciolto perché non punibile, veniva consegnato all’autorità di pubblica sicurezza. Se dopo un certo periodo la prognosi di pericolosità veniva confermata, il giudice ordinava il ricovero definitivo della persona.
Con la riforma dell’ordinamento penitenziario, i manicomi giudiziari sono stati sostituiti dagli Ospedali psichiatrici giudiziari. Il ricovero in queste strutture era una misura di sicurezza disciplinata dagli articoli 199 e seguenti del Codice penale. Ai sensi dell’articolo 202, comma 1: “possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato”. Per “socialmente pericoloso” si intende “quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati” (articolo 203, comma 1).
In seguito a un’indagine parlamentare del 2011 della commissione d’inchiesta istituita dal Senato, fu documentato un frequente degrado negli Ospedali psichiatrici giudiziari. Fu a quel punto che nacquero le REMS. Eppure le falle nel sistema continuano a esserci. “Nessuno tocchi Ippocrate” evidenzia l’esigenza di un presidio di polizia penitenziaria, trattandosi ad ogni modo di un carcere. Sarebbe urgente una stanza dove chiudere in sicurezza il detenuto in agitazione per evitare di nuocere al personale sanitario non addestrato a queste circostanze. L’associazione auspica infine al ripristino degli Ospedali psichiatrici giudiziari OPG. Richieste semplici, ma mirate.
Per arginare un problema che meriterebbe molta più attenzione. Senza normalizzare il fatto che il personale sanitario si rechi al lavoro nella consapevolezza di andare in trincea a causa delle mancanza del sistema. Sarebbe magari necessaria una nuova inchiesta per rimettere tutto in discussione e cercare finalmente delle soluzioni più equilibrate. Per offrire un servizio adeguato che non metta a rischio l’incolumità dei medici e degli infermieri. Per attuare un cambiamento che vada concretamente incontro alla realtà, meno fiabesca di quel che si possa immaginare.
di Valentina Mazzella