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“Beetlejuice – Spiritello porcello” di Tim Burton: la recensione del film del 1988 in attesa del nuovo sequel

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RECENSIONE – Dal 5 settembre Beetlejuice di Tim Burton torna al cinema con un nuovo sequel carico di aspettative. Il primo film, “Beetlejuice – Spiritello porcello”, risale al 1988. All’epoca riscosse un grandissimo successo sotto ogni punto di vista. Fu apprezzato dalla critica e dal pubblico. Raggiunse cifre importanti al botteghino. Agli Oscar del 1989 si aggiudicò il premio per il miglior trucco. Tuttora alcune classifiche inseriscono “Beetlejuice – Spiritello porcello” nell’elenco delle cento migliori commedie americane di sempre. Ad esempio l’AFI’s 100 Years… 100 Laughs lo posiziona all’ottantottesimo posto. Insomma, un film che nel suo genere viene considerato un classico.

Pertanto, l’uscita nelle sale di un seguito, regala oggi a molti una nuova opportunità. Chi non conosceva la pellicola del 1988 può recuperarla. Magari all’epoca non era nemmeno nato! Chi, invece, ne ha un ricordo meno nitido può guardarla di nuovo per spolverare la memoria. Ecco allora che, a distanza di ben trentacinque anni, Beetlejuice torna a cavalcare l’onda della vitalità. Si tratta del resto di un prodotto di qualità che, anche nel nuovo millennio, si difende egregiamente.

“Beetlejuice – Spiritello porcello” è innanzitutto un gioiellino in pieno stile Tim Burton. Le atmosfere e il taglio della sua regia sono inconfondibili. La sceneggiatura di Michael McDowell e di Warren Skaaren capovolgeva gli stereotipi del film horror dando vita una parodia che si intreccia con altri generi cinematografico. Il risultato è una strepitosa commedia adatta a tutta la famiglia. Il genere horror viene omaggiato, ma allo stesso tempo sono riconoscibili le influenze del dramma, della commedia, della satira sociale e politica. Non mancano la farsa e il demenziale.

La trama, tra una risata e l’altra, offre diversi spunti di riflessioni. L’umorismo macabro e l’ironia tipici della filmografia di Tim Burton lasciano un segno profondo nello spettatore. Il pubblico si interroga sulla morte, sui vivi e soprattutto sulle apparenze della realtà che ci circonda. A partire da un mondo parallelo e da personaggi bislacchi, il lungometraggio scardina i pregiudizi più ricorrenti. Per rendere possibile ciò, senz’altro, buona parte del merito è dell’eccezionale cast composto da Michael Keaton, Alec Baldwin, Geena Davis e Winona Ryder. Senza remore si può serenamente riconoscere come Michael Keaton e Winona Ryder siano in diverse scene a dir poco iconici. Come le inconfondibili musiche di Danny Elfman.

Le scenografie risentono molto del fascino e della nostalgia degli anni Ottanta. Il trucco e parrucco, settore che abbiamo detto esser stato premiato agli Oscar, si sbizzarrisce grazie all’inconfondibile estro creativo di Tim Burton. Sullo schermo appare un trionfo di ambientazioni dark e gotiche dalle sfumature pop, scene che amalgamano fasci di luce e creature realizzate ancora con i metodi analogici e artigianali. In contrapposizione viene poi proposta una fotografia più pulita e dai colori brillanti in cui figurano il perbenismo della normalità, proposta con un filtro grottesco.

Un déjà vu ci riporta ai quartieri della buona borghesia di “Edward mani di forbici” (1990) o dell’ordinata cittadina di Jericho, a due passi dalla Nevermore, nella serie-tv “Mercoledì” (2022). Essendo “Beetlejuice – Spiritello porcello”, in ordine cronologico, il secondo lungometraggio di Burton nella sua carriera, per gli appassionati si rivela divertente notare quanti dettagli anticipassero già le successive opere artistiche del regista. Un esempio lampante Barbara con l’abito da sposa che nel 2024 evoca immediatamente l’immagine de “La sposa cadavere” del 2005. In conclusione “Beetlejuice – Spiritello porcello” è la quintessenza di Tim Burton allo stato puro. Una perla della storia del cinema da recuperare a prescindere dal sequel. La sorpresa è assicurata.

Di Valentina Mazzella

 

 

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