RECENSIONE – Coinvolgente, toccante e commovente lo spettacolo “Il dito” rappresentato presso il Teatro Ridotto Mercadante di Napoli fino al primo marzo. Sicuramente complice di tanto successo è lo spazio intimo dello stesso Ridotto che permette al pubblico quasi di amalgamarsi e confondersi con la scena per la maggiore prossimità fisica. La regia di Carlo Sciaccaluga ha garantito una lodevole resa all’opera della giovane drammaturga kosovara Doruntina Basha, tradotta in italiano da Elisa Copetti.
Ecco allora che basta poco: lo scoppiettio di un vero fornello, lo scrosciare dell’acqua di un rubinetto e soprattutto l’odore di un pranzo per davvero cucinato sulla scena per rendere tutto più realistico. Gli aromi caldi delle pentole sul fuoco avvolgono gli spettatori favorendo una maggiore immedesimazione. È il teatro che esce dai propri confini di fantasia. Un teatro che accarezza i sensi dei presenti senza escludere l’olfatto rendendo tutto un po’ più “vero”.
Eccezionale come sempre l’interpretazione di Chiara Baffi: con la sua voce vibrante e rotta nei momenti di maggiore tensione, riesce ogni volta a trasmettere grande pathos al suo pubblico. Ottima anche la performance di Alessandra Pacifico Griffini che regala un personaggio straziante curato moltissimo nella postura e nella gestualità.
“Il dito” è la storia di due donne, Zoja e Shkurta, che condividono il dolore per l’assenza dello stesso uomo da prospettive diverse. La prima è una madre che ha perso il figlio. La seconda una giovane moglie rimasta vedova. Sullo sfondo, sebbene non venga esplicitamente rivelato, la pulizia etnica che ci fu in occasione della guerra in Kosovo del 1998 – 1999. Ed è stata proprio la suddetta circostanza a portare via un uomo la cui assenza pesa come una presenza per tutto lo spettacolo. Una ferita interiore che perde sangue come un dito tagliato accidentalmente afferrando delle verdure durante l’ennesimo acceso diverbio fra due donne dai nervi portati all’esasperazione. Da un lato emerge il rapporto di competizione e ostilità fra le due. Dall’altro il confronto fra due modi diversi di affrontare un lutto in cui non si ha un corpo su cui piangere. L’eterna attesa di una madre che non accetta la crudele realtà e dall’altra una moglie dilaniata dentro, desiderosa tuttavia di ricordare e andare avanti senza dimenticare nulla.
Di Valentina Mazzella