Se dovessimo descrivere l’attuale situazione politica italiana con un esempio, probabilmente la scelta più esaustiva sarebbe quella di una celebre favola di Esopo dalla morale sempiterna. Quello che sta accadendo da troppo tempo è infatti banalmente la storia di “Al lupo! Al lupo!”. Conosciamo tutti o quasi il racconto del pastorello burlone che svegliava il villaggio annunciando una minaccia possibile per mero scherzo, fino a quando poi più nessuno gli ha creduto. Neanche la volta in cui il pericolo – un lupo in carne e ossa – sopraggiunse per davvero. L’insegnamento degli antichi è di una semplicità disarmante: nel momento in cui dici una bugia, due bugie, tre bugie… a un certo punto, se anche dicessi la verità, più nessuno ti crederebbe. Ed eccoci qua, nell’anno corrente. Pur volendo ammettere che determinate bugie siano state dette “in buonafede” per il bene collettivo, una volta che le persone comprendono che in realtà ti stai muovendo palesemente “a tentoni” – per prove ed errori a spese altrui – la credibilità la perdi. Senza ‘se‘ e senza ‘ma‘. Facile. Addirittura ovvio, aggiungerei. Funziona così per tutto nella vita. Per usare un’espressione tipicamente napoletana, “Nun ce vo’ l’arc e scienz” la cui traduzione sta per: “Non c’è bisogno dell’arco della scienza”, ossia di particolari strumenti per capire le evidenze. Da sempre la fiducia è una forma di affidamento che si guadagna. Assurdamente anche in ambito religioso si è sfatato da tempo il mito della “fiducia cieca”, abbracciando invece il più temperato: “Senza il dubbio, non è vera fede”. Quindi, in un secolo in cui la fiducia assoluta non è più un dovere nemmeno del credente, potrà essere lecito alle persone chiedere trasparenza e coerenza al Governo e agli organi di competenza? Potrà o no essere ancora considerato questo un diritto dei cittadini di fronte a molteplici contraddizioni? La diffidenza è sempre un atteggiamento prevenuto da etichettare come una colpa o spesso è conseguenza di una fiducia tradita e violentata?
Di Valentina Mazzella