La quindicesima edizione dei giochi estivi dedicati ad atleti con disabilità si svolgerà a Rio de Janeiro (Brasile) dal 7 settembre al 18 settembre 2016. Oltre 4.300 atleti provenienti da 176 Paesi del mondo si affronteranno nelle 23 discipline paraolimpiche (atletica, tiro con l’arco, boccia, canoa, ciclismo, equitazione, judo, calcio, peso, vela, tiro a segno, sitting volley, nuoto, tennis da tavolo, basket in carrozzina, scherma in carrozzina, rugby in carrozzina, tennis in carrozzina, goalball e da quest’anno anche la canoa e il Triatlon).Tom è la mascotte ufficiale e simbolo della natura e della particolare flora Brasiliana, scelta da una giuria popolare per evidenziare tutte le “diversità culturali” e non solo del popolo brasiliano. Una riflessione, però va fatta: se simboli come “Tom” e come gli stessi ”anelli olimpionici”, che rappresentano la concatenazione dei cinque continenti, sono l’emblema dell’unione tra tutti gli atleti, gli sportivi e gli appassionati del mondo, indipendentemente da qualsiasi sorta di “diversità”, perché la necessità delle “paraolimpiadi”? Perché non prevedere un calendario unico dove possano essere rappresentate tutte le “diversità” e quindi anche la “disabilità”? Olimpiadi e Paralimpiadi insieme, senza differenze, senza barriere, senza diversità; un’unica grande manifestazione di sport e di uguaglianza. Bisognerebbe considerare il vero valore dell’inclusione: gli atleti sono atleti senza distinzioni; si tratta di persone che hanno in comune l’amore per lo sport che permette di superare ogni difficoltà, ogni ostacolo, ogni limite attraverso l’impegno e il sacrificio, nel rispetto delle regole e soprattutto nel rispetto dell’altro. L’inclusione attraverso lo sport è un investimento sociale” volto al reale inserimento delle persone con disabilità nel tessuto sociale, tenuto conto che, in taluni casi, all’aspetto agonistico si affianca il non meno importante aspetto terapeutico che lo sport, in alcune situazioni, può offrire”. Se il “grande pubblico” fatica ancora a considerare le paraolimpiadi come sport vero, molto probabilmente si deve proprio alla linea di demarcazione tra i due eventi; sta di fatto che i pregiudizi sulla disabilità sono ancora troppo forti e che nonostante il “buonismo” di molti quando si vede una persona con disabilità si guarda solo alla disabilità, non all’uomo, non alla donna, non all’atleta, come se “noi” non avessimo identità se non quella della disabilità. Si tratta di liberarsi da quel “retaggio” di pietismo e ipocrisia che caratterizza ancora l’approccio di molti a una realtà che non si conosce perché nella cultura sociale la disabilità è ancora vista esclusivamente come un limite e mai come una risorsa tra le tante differenti risorse dell’umanità. Intanto mentre i protagonisti del video “We are superhumans”, realizzata per l’occasione dall’emittente televisiva, pubblica inglese Channel4, non solo atleti, ma anche musicisti, attori, artisti, piloti, cantano “I superumani siamo noi” la maggior parte di noi credo abbia solo voglia di sentirsi una persona tra tante e vivere come tutte le proprie unicità senza categorie neppure quelle paraolimpiche.
di Giuseppe Musto