Recuperati dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale
L’Oracolo di Delfo di Camillo Miola e il Ritratto di Vittorio Emanuele III di
Achille Talarico
Era finito nelle sale del Getty Museum di Los Angeles L’Oracolo di Delfo di Camillo
Miola, un olio su tela del 1880, opera acquistata per 3500 lire dalla Provincia di Napoli
nel 1881, presente nel catalogo dei beni dell’Ente di piazza Matteotti del 1912 e
illecitamente esportata nel secondo dopoguerra. La tela, passata nel 1972 per il mercato
antiquario americano, era finita nelle collezioni del museo statunitense che sul proprio
sito web ne indicava così la provenienza: “dalla Pinacoteca provinciale di Napoli”.
Dettaglio passato, forse, inosservato agli studiosi americani – il diritto statunitense non
contempla l’inalienabilità delle collezioni pubbliche – ma non a quelli italiani che hanno
collaborato per quest’eccezionale recupero con la Procura di Roma, il Reparto Operativo
del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale.
È questo uno dei dipinti presentato alla stampa questa mattina, presso la sala Cirillo di
Palazzo Matteotti a Napoli, dal sindaco metropolitano Gaetano Manfredi e dal
Comandante del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, Gen. Div.
Francesco Gargaro. L’altro è il Ritratto di Vittorio Emanuele III di Achille Talarico, un
olio su tela del 1902 realizzato proprio su commissione della Provincia di Napoli.
L’opera è stata recuperata grazie all’eccellente lavoro del Nucleo TPC di Napoli,
coordinato dal Comandante Maggiore Massimo Esposito, che ha localizzato e
sequestrato l’opera in Italia. Presenti alla conferenza stampa anche il Procuratore
Aggiunto della Procura di Roma Giovanni Conzo che ha coordinato le indagini in
ambito nazionale e internazionale e Luigi La Rocca, Capo del Dipartimento per la
Tutela del Patrimonio Culturale del Ministero della Cultura. In sala anche il Procuratore
Aggiunto della Procura di Napoli Pierpaolo Filippelli, il Sovrintendente per l’Area
Metropolitana di Napoli Mariano Nuzzo, il dirigente del Segretariato Regionale per la
Campania Teresa Elena Cinquantaquattro e altre personalità del mondo dell’arte e
della cultura, nonché numerosi consiglieri metropolitani.
Un quartetto di archi del liceo musicale “Margherita di Savoia” di Napoli, ha
accompagnato la cerimonia e, in particolare, ha sottolineato il momento dello
svelamento delle opere con Les Indes Galantes di Jean-Philippe Rameau, introducendo la
cerimonia con il Te Deum di Marc-Antoine Charpentier.
Piazza Matteotti, 1 – 80133 Napoli – telefono 0817949111; stampa@cittametropolitana.na.it
Si ringraziano gli studenti Davide Avallone e Andrea Genovese (violini), Davide Forte
(viola) e Davide Levi (violoncello), il docente accompagnatore Giovanni Grima e il
dirigente scolastico Vincenzo Varriale.
“Oggi è una giornata speciale per la Città Metropolitana di Napoli, è particolarmente emozionante per
tutti noi accogliere due dipinti della nostra Collezione d’Arte che tornano finalmente a casa grazie
all’eccezionale lavoro della Magistratura e del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio
Culturale che ringrazio a nome di tutto l’Ente, a cui va tutta la mia riconoscenza. Il recupero de
L’Oracolo di Delfo di Camillo Miola è stato possibile solo grazie a un intenso lavoro investigativo. La
foto del dipinto sulla copertina del rapporto annuale 2023 del Comando Carabinieri per la Tutela del
Patrimonio Culturale ci rende particolarmente orgogliosi. L’altra opera, invece, Ritratto di Vittorio
Emanuele III di Achille Talarico era stata commissionata proprio a inizio Novecento dall’allora
Provincia di Napoli, a testimonianza del ruolo che l’Ente aveva nella promozione delle arti a Napoli
tra fine Ottocento e inizio Novecento e ci ha portato ad avere una prestigiosa Collezione d’Arte di oltre
500 opere. Stiamo lavorando per la piena valorizzazione di questo patrimonio artistico con un lavoro
intenso che sfocerà nei prossimi anni nell’esposizione permanente delle opere più significative nel
Complesso di Santa Maria la Nova” afferma il sindaco metropolitano Gaetano Manfredi.
“La Procura di Roma aveva fatto la confisca dell’opera di Camillo Miola e di alte opere
che erano presenti al Getty Museum di Los Angeles, rimaste in esecuzione per diversi
anni, abbiamo avuto modo di ascoltare il direttore del Museo che poi ha restituito le
opere. Da napoletano il ritorno di quest’opera mi rende particolarmente orgoglioso” ha
affermato il Procuratore Aggiunto della Procura di Roma Giovanni Conzo.
“Oggi è davvero una giornata di festa per il Comando Carabinieri per la Tutela del
Patrimonio Culturale che è riuscito a recuperare questi due importanti dipinti anche
grazie a una banca dati che consta di un milione e 300mila files, capace di sfruttare le
capacità dell’intelligenza artificiale con la quale stiamo continuando a cercare altre opere
d’arte. Il recupero del Camillo Miola negli Stati Uniti è stata un’operazione
particolarmente lunga e complessa in cui si sono attivati tutti i canali investigativi e
diplomatici” ha affermato il Comandante del Comando Carabinieri per la Tutela del
Patrimonio Culturale, Gen. Div. Francesco Gargaro.
“Due opere importanti della scuola napoletana di fine Ottocento e inizio Novecento
ritornano nella Collezione d’Arte dell’ex Provincia di Napoli, proprietaria di una raccolta
significativa di oltre 500 dipinti, composta dai principali artisti dell’epoca” ha affermato
Luigi La Rocca, Capo del Dipartimento per la Tutela del Patrimonio Culturale del
Ministero della Cultura.
I due dipinti resteranno esposti in sala Cirillo per tutto il mese di febbraio 2025, dal
lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 13.00 della Città Metropolitana di Napoli. Per
prenotazioni gruppi o scolaresche scrivere una mail a cultura@cittametropolitana.na.it o
telefonare allo 081 7949149 o 081 7949185. Ingresso gratuito da via Fabio Filzi 1.
Le opere recuperate
Camillo Miola
(Napoli 1840-1919)
L’Oracolo di Delfo , 1880
Olio su tela
Misure 144 x 108 cm (senza cornice)
Misure 162 x 126 (con cornice)
firmato in basso a sinistra CMIOLA
Provincia di Napoli, acquisto del 1881
Il dipinto viene realizzato nel 1880. L’opera
riscuote subito grande successo sia per la
ricercatezza tematica che per la resa pittorica.
Alcune cronache dell’epoca criticano il
costante ricorso ad elementi simbolici e
troppo eruditi. Dal dipinto viene anche tratta,
da Giuseppe De Sanctis, una incisione ad acquaforte, di cui una copia è custodita al
Museo Nazionale di San Martino in Napoli, incisione che si rivelerà utilissima per il
successivo recupero del dipinto. Nel 1881 il quadro viene acquistato dalla Provincia di
Napoli per 3500 lire, pagate in due rate di 1500 e 2000 lire, e figura in tutti i cataloghi a
stampa della Collezione d’Arte dell’Ente fino al 1912.
Nel secondo dopoguerra si perdono le sue tracce, fino a quando riappare in un’asta negli
Stati Uniti d’America, dove viene acquistato da un noto antiquario newyorkese che poi lo
rivende al J. Paul Getty Museum.
Il dipinto è stato individuato dal Comando TPC nel 2013 presso il museo statunitense J.
Paul Getty di Malibù (Los Angeles) e riconosciuto come quello asportato dalle collezioni
della Provincia di Napoli. Nonostante le indagini e una prima rogatoria di assistenza
giudiziaria in materia penale richiesta negli USA dalla Procura di Roma, non fu possibile
recuperare il dipinto in quanto il museo estero
asseriva di averlo acquistato in buona fede nel
1972 da una collezione privata che, a sua volta,
l’aveva comprato presso un’asta pubblica.
Solo a seguito di ulteriori indagini condotte dalla
Procura di Roma e dal Reparto Operativo
Carabinieri TPC, in merito alla ricettazione di
importanti reperti archeologici trafugati con scavi
clandestini in aree archeologiche del territorio
italiano ed esportati all’estero, alcuni in collezione
al Getty, è stato possibile ottenere la restituzione
dell’opera L’oracolo di
Delfo, grazie alle attività condotte dal personale del Comando
TPC a cui sono affidati i compiti di cooperazione
internazionale che ha portato il museo americano a procedere
alla sua spontanea e incondizionata restituzione, avvenuta a
Los Angeles il 31 gennaio 2023, con rimpatrio avvenuto il 5
febbraio 2023 grazie alla preziosa collaborazione del Consolato
Generale d’Italia in Los Angeles (USA). Da qui, poi, la
restituzione alla Città Metropolitana di Napoli, erede
istituzionale della Provincia di Napoli.
Questa opera traduce su tela tutte le esperienze che possono
leggersi nelle biografie dell’artista napoletano. Il tema storico è
uno dei filoni in voga nell’arte di fine Ottocento, ma nel caso
di Miola è anche espressione della sua formazione classica
presso i Gesuiti e della sua esperienza di disegnatore agli scavi
di Pompei al seguito di Giuseppe Fiorelli. L’impostazione
scenica e l’attenzione per le vesti dei personaggi ritratti sono
un chiaro richiamo alle messe in scena delle commedie plautine per l’Università di
Napoli nel 1877. Lo spazio buio, nell’ipogeo del tempio di Apollo, tagliato in diagonale
da un basso parapetto che segna il limite tra l’area sacerdotale e quella riservata ai
richiedenti, viene rischiarata da una luce tenue che penetra in alto a sinistra.
La quinta di sinistra è rappresentata da un pilastrino che reca in basso la firma del pittore
CMIOLA in lettere capitali romane, a sottolineare l’attività di trascrizione di epigrafi
romane in cui si cimentava l’artista.
A destra il limite della scena è rappresentato da una stele con un’iscrizione in greco
inneggiante ad Apollo tratta da Pausania che offre una precisa collocazione nel tempo e
nello spazio, e che si abbina all’arco e alla spada appese sul pilastrino di sinistra subito
sopra la firma dell’autore (ΑΓΟΥ ΔΕ ΒΑΡΥΝ/ΙΟΝ/ΕΠΑΝΕΡΙ
/ΦΟΙΒΟΣ/ΕΦΗΣΙ/ΣΙΝΤΗ
ΠΑΡΝΗΣ/ΣΟΙΟΦΟΝΟΥ/ΔΕΚΡΗΣΙΟΙ/ΑΝΔΡΕΣ/ΞΙΡΑΣ/ΑΓΙΣΕΥΟΥΣΙ/ΤΩΔΕ
ΚΑΕΟΣΟΥ/ΤΟΓΟΛΕΙΤΑΙ trad. Subito Febo scaglierà la sua freccia sull’uomo
predatore del Parnaso; gli uomini Cretesi purificheranno le sue mani dall’uccisione; ma la
sua gloria giammai perirà, da Pausania, La descrizione della Grecia, Libro 10.6.7).
Alle pareti dell’area sacerdotale, di un color rosso bruno, si intravedono gli ex voto frutto
delle richieste esaudite, tra cui si distingue chiaramente il pitone ucciso da Apollo, da cui
il nome della Pizia, e un dipinto circoscritto da una cornice dorata da cui emergono a
malapena la figura di Apollo sul carro del sole trainato da una quadriga di cavalli alati.
Foglie e rametti di alloro ricoprono il pavimento, e fumi di incenso si espandono dai
bracieri. A sinistra un cono coperto da collane, chiaro riferimento alla credenza secondo
cui il tempio edificato sul Parnaso indicasse il centro della terra.
Al centro della scena è fissato il momento culminante. La sacerdotessa dalla fluente
chioma bruna, vestita con una tunica bianca straripante d’oro e gioielli, è immortalata al
culmine della
sua estasi, nel
momento
stesso in cui
attraverso le
sue labbra
vibrano i versi
del responso.
La donna,
scossa dalla
forza divina
che si è
impossessata del suo corpo, vacilla sul tripode tanto che due sacerdoti faticano a tenerla
ferma, mentre un altro è intento ad annotarne le parole.
Davanti a lei, inginocchiati su un tappeto ocra finemente decorato con un fare da codice
miniato, i due interroganti in vesti sontuose, chiaro segno di una elevata estrazione
sociale, stringono tra le mani ramoscelli di alloro, dopo aver lasciato in dono un piatto di
monete d’oro e una statuetta votiva in bronzo in cui è facile leggere una citazione della
Vittoria Alata proveniente da Pompei e custodita presso il MANN-Museo Archeologico
Nazionale di Napoli.
L’artista – Camillo Miola (Napoli 1840-1919)
Nasce a Napoli il 14 settembre 1840. Si forma presso i Gesuiti dedicandosi agli studi
classici, quindi entra a far parte dell’amministrazione dello stato borbonico, prestando i
suoi servigi dal 1858 al 1861. Nel contempo coltiva la passione per l’arte, frequentando i
corsi di Domenico Morelli e Filippo Palizzi presso l’Istituto d’arte di Napoli. Partecipa
alla Promotrice già nel 1862 con due opere: Franciscolo Pusterla e Pizzano Astrologo. Il
successo riscosso al concorso per il pensionato di pittura di Firenze nel 1863 con il
dipinto Tarquinio e la Sibilla, lo spinge a dedicarsi pienamente alla pittura. La sua arte,
tuttavia, risulterà sempre intrisa della sua formazione classica. Il fratello paleografo
Alfonso alimenta ulteriormente tale passione, segnalandogli fonti bibliografiche colte per
le scene da rappresentare. Parimenti risulta fondamentale la collaborazione con
Giuseppe Fiorelli agli Scavi di Pompei, grazia alla quale si afferma come copista di
suppellettili e arredi antichi. Partecipa ancora alla Promotrice di Napoli, riscuotendo
enorme successo con Il Plauto mugnaio. Tra il 1864 e il 1867 compie diversi viaggi di
studio toccando Roma, dove approfondisce ulteriormente la conoscenza dell’arte antica,
e Parigi dove entra in contatto con Gérôme e le tendenze luministiche di ispirazione
impressionista. Non mancano nel suo catalogo dipinti con tematiche sociali, temi
orientalisti, stimolati da un viaggio in Egitto, e numerose teste e ritratti. Nel 1877 è
impegnato per la realizzazione dei costumi di due opere tratte da Plauto. Sono questi gli
anni di alcuni importanti dipinti come Orazio in villa e L’Oracolo di Delfo. Nel 1890
aderisce alla Società napoletana degli artisti, di cui diviene commissario per l’accettazione
delle opere alla collezione permanente del gruppo. Si fa apprezzare anche come critico
d’arte e pubblicista, firmando i suoi scritti con lo pseudonimo di Biacca. Muore a Napoli
il 4 Maggio 1919.
Achille Talarico
(Catanzaro 1837-Napoli 1902)
Ritratto del Re Vittorio Emanuele III
olio su tela, 1902
Misure 80 x 140 cm (senza cornice)
Misure 96 x 155 cm (con cornice)
firmato e datato in basso a destra: A. Talarico
Provincia di Napoli, commissionato all’artista
nel 1901
Il dipinto, firmato e datato dal pittore calabrese
Achille Talarico nel 1902, viene commissionato
dalla Provincia di Napoli nel 1901 per essere
collocato nell’aula consiliare presso la sede di Santa
Maria La Nova. È presente nel Catalogo delle opere
d’arte di proprietà della Provincia del 1912. Il ritratto
regio, anche esso oggetto di denuncia di furto
come il dipinto del Miola, entrambi asportati da
ignoti insieme ad altri beni d’arte, risulta inserito nella pubblicazione “Arte Rubata –
Inventario di tutti i furti d’arte dal 1970 al 1999”, edito nel 1999 dalla Soprintendenza di
Napoli.
I meticolosi controlli curati dal Nucleo TPC di Napoli, coordinati anche in questo caso
dalla Procura di Roma, sulle pubblicazioni delle immagini
delle opere d’arte poste in vendita sul web da parte di
venditori del settore, nonché gli accertamenti condotti
tramite la comparazione delle foto dei beni culturali da
ricercare e censite nella “Banca Dati delle opere d’arte
illecitamente sottratte” in uso ai militari TPC, hanno
portato alla localizzazione del dipinto del Talarico che era
stato pubblicato nell’aprile 2023 sul sito di una casa d’aste.
Gli approfondimenti investigativi hanno permesso nel 2024
di individuare e deferire all’Autorità giudiziaria il mandante,
un ex antiquario in pensione, a vendere del dipinto con il
sequestro dell’opera che era nella disponibilità di un privato
acquirente ignaro della provenienza furtiva del dipinto.
Indagini che si sono concluse con la restituzione alla Città
Metropolitana di
Napoli erede
istituzionale della
Provincia di Napoli. Il
ritratto, con buona
probabilità deriva da
una delle fotografie
ufficiali di Vittorio
Emanuele III una volta
incoronato Re d’Italia,
e scattate nel 1900.
Infatti, sono noti
numerosi altri dipinti
simili, ma realizzati da
altri autori.
Il sovrano è immortalato in piedi, a tre quarti di figura, in alta uniforme. La sua sagoma
emerge con prepotenza dal fondo bruno, quasi monocromo, dove non si scorgono altri
elementi. Talarico sceglie un taglio frontale. Il re fissa negli
occhi lo spettatore, come avviene anche nel Ritratto d’uomo
con guanto di Palazzo Pitti. Lo sguardo, che brilla delle iridi
azzurre, è fiero e autoritario. La testa è l’elemento più
luminoso del dipinto. L’incarnato chiaro ma allo stesso
tempo caldo per i toni rossicci che danno i lunghi baffi e i
capelli tendenti al castano chiaro. Il pennello si sofferma
con puntualità e precisione nei dettagli del volto, e sulle
applicazioni sull’uniforme, mentre passa largo e rapido nei
campi della giacca e del pantalone.
La mano destra stringe i guanti bianchi e mentre la sinistra
si appoggia alla sciabola puntata a terra. L’uniforme è
riccamente decorata con i cordoni e i simboli delle
numerose onorificenze. In particolare, sono da segnalare il
collare e la placca dell’Ordine della SS. Annunziata, La
Croce dei Cavalieri di Malta, e la fascia di colore verde con
la croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Il quadro è incorniciato da una cornice dorata molto
semplice con il bordo interno a perline.
L’artista
Achille Talarico
(Catanzaro 1837-Napoli 1902)
Nasce a Catanzaro nel 1837. Si trasferisce giovanissimo a Napoli, dove frequenta lo
studio di Giuseppe Mancinelli prima di iscriversi, nel 1856, all’Istituto di Belle Arti. La
formazione classica non gli impedisce di sperimentare le moderne tendenze. Artista
eclettico, partecipa più volte alla Promotrice napoletana, cimentandosi in diversi generi
pittorici. Spazia dalle scene folkloristiche alla natura morta, alla pittura di storia e al
paesaggio, senza disdegnare i soggetti sacri. Descritto dai biografi come un personaggio
schivo, deve la sua fama alla produzione ritrattistica tra il ceto nobile napoletano, ma non
sono rari i dipinti in cui ritrae soggetti di estrazione popolare. Il modello iconografico del
mezzo busto ripreso di trequarti ben presto lascia spazio al ritratto a figura intera di
taglio fotografico. Ne è un esempio il dipinto Dopo una festa in maschera, acquistato dalla
famiglia Reale per il Museo di Capodimonte. L’ambientazione aristocratica ritorna in Nel
palco, mentre in Felicità dei campi l’artista si dimostra abile nel declinare anche in chiave
rurale la sua vena realistica. I ritratti sono ricchi di dettagli che raccontano il personaggio,
aiutando a coglierne non solo lo status sociale, ma anche lo stato d’animo. Nel Ritratto
d’uomo con guanto di Palazzo Pitti e nel Ritratto del Re Vittorio Emanuele III, i soggetti sono
ripresi frontalmente con lo sguardo dritto a fissare l’osservatore. Muore a Napoli nel
1902.
La Collezione d’Arte della Città Metropolitana di Napoli
La Città Metropolitana di Napoli ha una collezione d’arte di oltre 500 dipinti e una
ventina di sculture. Un corposo nucleo, formatasi nel corso del XIX secolo grazie alla
volontà dell’Ente Provincia di Napoli di sostenere con commissioni e attraverso le varie
manifestazioni espositive della Società Promotrice di Belle Arti di Napoli, gli artisti del
territorio come Gigante, Carelli, Palizzi, Migliaro, Altamura, Ponticelli, Sagliano, Sciuti,
Renda e quelli giunti a Napoli come Piltloo, Duclère, Dunouy e Rebell. Una raccolta
accresciuta negli anni fino al recente acquisto di diciotto dipinti che testimoniano al
massimo livello il periodo del Grand Tour, provenienti dalla dismissione di
un’importante collezione napoletana evitandone la dispersione.
Negli anni l’Amministrazione Provinciale di Napoli prima e la successiva Città
Metropolitana, poi, nell’ottica di valorizzare la collezione ha organizzato mostre presso la
Reggia di Portici, di proprietà dell’Ente, o nelle sale nelle istituzionali di Palazzo
Matteotti o Santa Maria la Nova. Numerosi dipinti, poi, hanno partecipato a mostre
sull’Ottocento o il primo Novecento organizzate da istituzioni culturali italiane ed estere,
sempre in collaborazione con la Sovrintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di
Napoli, che ha l’alta sorveglianza sulla raccolta.
Grazie alla proficua collaborazione con il Comando Carabinieri per la Tutela del
Patrimonio Culturale sono stati recuperati negli ultimi anni altri dipinti dispersi: nel 2016
è rientrato il prestigioso Giochi di ragazze a Villa Borghese, dipinto nel 1876 dall’artista
Vincenzo Dattoli, e nel 2019 I perditempo, dipinto nel 1873 dall’artista Achille Martelli. La
collaborazione con l’Arma dei Carabinieri è costante nel tentativo di poter recuperare
altri dipinti inseriti nella loro banca dati. Al fine di poter valorizzare al meglio la
Collezione d’arte ha deciso di realizzare uno spazio espositivo permanente nel
complesso monumentale di Santa Maria la Nova per allestite con i dipinti più
significativi dell’Ottocento napoletano.