ATTUALITÀ – Perché – ieri 5 dicembre – per Giulia Cecchettin sono stati celebrati i funerali di Stato e per altre vittime di femminicidio no? Esistono morti di serie A e morti di serie B? Sono alcune delle domande indecorose che serpeggiano sui social in questi giorni. Purtroppo c’è anche una venatura di veleno in mezzo a tanti messaggi di amore, solidarietà e vicinanza condivisi da quanti sono sinceramente commossi per la tragedia di Giulia. Non mancano quanti, a denti stretti, gridano al complotto chiedendo con diffidenza iraconda “cosa ci stiano nascondendo”. Il soggetto dell’azione non pervenuto, non definito nella formulazione di ipotesi fumose. Si lancia il sasso e si nasconde la mano. Gli antichi non sbagliavano mai con i proverbi.
La risposta è che non esistono, a scanso di equivoci, categorie di morti più o meno importanti. Più semplicemente la tragedia che ha colpito la famiglia Cecchettin ha avuto una grandissima risonanza mediatica. Fosse anche solo per il fatto che la storia ha avuto inizio come un rapimento e non subito come un delitto. Il pubblico da casa, nell’era della spettacolarizzazione della cronaca, aveva iniziato “ad appassionarsi al giallo” già in occasione della scomparsa di Giulia e Filippo. E conosciamo tutti il tasso di ascolto di note trasmissioni televisive come “Chi l’ha visto?” e “Quarto Grado” di cui, in questa sede, non desideriamo criticare l’operato o le intenzioni.
Lo scopo è spiegare che la morte di Giulia non è una delle tante notizie comunicate dalla TV da un giorno all’altro. Il canovaccio alle spalle è lo stesso. Tuttavia, in queste circostanze, gli Italiani hanno avuto modo di affezionarsi alla vittima prima ancora di aver certezza della sua macabra fine. In aggiunta ci sono state le forti dichiarazioni della sorella Elena Cecchettin alle telecamere. Le parole della ragazza sono state la miccia per un grande movimento nazionale che ha permesso di organizzare manifestazioni in tutte le piazze dello stivale. Eventi per la memoria non solo di Giulia, ma di tutte le donne vittime della violenza di genere.
Insomma, nessuna cospirazione. Banalmente Giulia ha ricevuto i funerali di Stato perché è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Perché la sua esperienza è quella in cui per tante giovani ragazze è molto facile riconoscersi. Vittima e carnefice non provenivano da un contesto di disagio socio-culturale ed economico. Erano entrambi studenti universitari in procinto di laurearsi, ergo con un buon livello di istruzione e “le famose facce pulite”. Elementi che danno modo di riflettere su come certe dinamiche tossiche siano trasversali a tutti i ceti sociali.
Soprattutto l’uccisione non è stata preceduta da schiaffi e calci, ma da manipolazione e altri tipi di violenza psicologica. Segnali più difficili da riconoscere rispetto alle classifiche botte e ai lividi da nascondere con il fondotinta. La storia di Giulia apre la pista a mille riflessioni sulla consapevolezza delle relazioni malsane, sull’importanza della salute mentale, sull’esigenza di un’educazione emotiva e sentimentale. Ecco allora che Giulia è diventata un simbolo. Per tutte le ragioni elencate fin qui. Non perché le altre vittime di femminicidio siano state meno importanti.
Potremmo suggerire l’esempio di Rosa Parks, figura-simbolo del movimento per i diritti civili negli USA. In Alabama, nel 1955, rifiutò di cedere il posto su un autobus a un bianco. Tutto partì la lì. Rosa Parks non fu la prima vittima della discriminazione e probabilmente nemmeno la prima a reagire. Tuttavia la sua storia personale fu quella che fece scattare la scintilla per il cambiamento nella storia americana.
A chi accusa la strumentalizzazione della politica, si potrebbe rispondere da una parte alzando le mani. Non è forse vero che spesso ogni occasione è buona per fare propaganda e passerelle? Ma dall’altra possiamo mai negare che tutto della società – dai costumi alle scelte quotidiane – sia in fondo di per sé già politica? E allora che male c’è nel desiderare anche di discutere di più di certe tematiche nella speranza di migliorare la realtà del domani tutti insieme? Non è facile, non viviamo nelle favole. Eppure è complice anche lavarsene le mani.
Di Valentina Mazzella