Benvenuti al nuovo appuntamento della rubrica: “π΅πππππ ππππππ: ππππππ, ππππ π πππ π πππππππππ'”.
“Cca ‘e ppezze e cca ‘o ssapon”: questa massima napoletana molto conosciuta Γ¨ usata ancora oggi. Tradotta letteralmente in italiano significa: “Qui gli stracci e qui il sapone”. Nessun pagamento posticipato, ma solo pagamento al ritiro della merce.
Questo detto riporta a un mestiere storico della tradizione napoletana: ‘o sapunaro (il saponaro). Questo antico mestiere era presente a Napoli fino alla prima metΓ del XX secolo.
I saponari passavano di casa in casa raccogliendo oggetti vecchi di cui la gente voleva disfarsi o vecchie mobilie, anche se in cattive condizioni. In cambio il saponaro non rendeva denaro, ma pezzi di sapone, da cui deriva il nome.Β
Secondo la tradizione, i frati del convento dei monaci Olivetani, a Monteoliveto, per arredare in modo economico il Monastero, si affidarono ai rigattieri, i quali fornivano mobilia e utensili in cambio del sapone che i monaci producevano nei loro laboratori sin dal 1400. La chiesa ospitava l’Arciconfraternita dei “Nazionali Lombardi”, in riferimento agli emigranti del Nord che giungevano a Napoli in cerca di lavoro e di favorevoli opportunitΓ .
Con il tempo il sapone non fu piΓΉ oggetto del baratto. Fu infatti sostituito dai piatti e dalle bacinelle. E cosΓ¬, i saponari vennero ridefiniti “piattari”. Tuttavia, la voce del richiamo rimase sempre: “Sapunaro… Rrobba vecchia… sapunaro!”
‘O sapunaro, quindi, fu una figura tradizionale che ispirΓ² poesie di autori come Nicolardi, Capurro e Raffaele Viviani. Quest’ultimo ne trasse un’amara macchietta dal titolo ‘O sapunariello.
Saluti cordiali,
Pino Spera, Responsabile della Sezione Storia della Biblioteca I Care, Pomigliano d’Arco (NA).