Benvenuti al nuovo appuntamento della rubrica: “π΅πππππ ππππππ: ππππππ, ππππ π πππ π πππππππππ'”.
“Io facc’ o schiattamuorto ‘e professione, modestamente sono conosciuto pe’ tutt’ ‘e cas’ ‘a dint’ stu rione, pecchΓ¨ quann’ io maneo nu tavuto, songo nu specialista ‘e qualitΓ !”: cosΓ¬ recita TotΓ² nella sua poesia ‘O schiattamuorto.
Lo “schiattamuorto” non era altro che uno dei tanti mestieri napoletani, ovvero il “becchino”, colui che seppelliva i morti. Il termine “schiattamuorto” deriva dal verbo “schiattare”, cioΓ¨ “spremere”. Indicava la pratica, in uso fino al 1600, che aveva un duplice scopo: quello di comprimere i corpi affinchΓ© ne entrassero piΓΉ di uno in una bara e quello di far perdere i liquidi ai cadaveri. Da quest’ultimo rito deriva una celebre imprecazione: “Puozze sculΓ !”, ossia “Che tu possa scolare, morire!”.
Per i nobili il compito dello “schiattamuorto” era piΓΉ gravoso e faticoso. Infatti la testa dei defunti, ritenuta la parte piΓΉ importante del corpo perchΓ© sede dei pensieri, veniva messa sulla parete del luogo di sepoltura. Il resto del corpo veniva disegnato con gli abiti e gli stemmi per rimarcare la posizione sociale che il defunto aveva rivestito in vita.
Ancora oggi questo tipo di sepoltura Γ¨ visibile presso le catacombe di San Gaudioso alla SanitΓ , le stesse che hanno ispirato un famoso abitante della zona, TotΓ², alla composizione della poesia ‘A livella.
Sicuramente lo schiattamuorto Γ¨ il mestiere napoletano piΓΉ temuto perchΓ© considerato “portatore di sfortune”. Ancora oggi il cittadino napoletano si abbandona a riti scaramantici al suo passaggio. In fondo “Essere superstiziosi Γ¨ da ignoranti, ma non esserlo porta male” diceva Eduardo De Filippo.
Saluti cordiali,
Pino Spera, Responsabile della Sezione Storia della Biblioteca I Care, Pomigliano dβArco (NA).