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Storia del Casatiello e della Pastiera tra mito e realtΓ 

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Benvenuti al primo appuntamento con la rubrica π‘΅π’‚π’‘π’π’π’Š π’‚π’π’•π’Šπ’„π’‚: π’”π’•π’π’“π’Šπ’‚, π’‚π’π’†π’…π’…π’π’•π’Š 𝒆 π’„π’–π’“π’Šπ’π’”π’Šπ’•π’‚β€™.

 

“È venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzarra che si facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielli?”. Questo scriveva nel 1600 il napoletano Gianbattista BasileΒ nel suo famoso libro di racconti “Lo cunto de li cunti” nella fiaba “La gatta Cenerentola”. Ad un certo punto della favola si racconta del ricevimento che fu organizzato dal Re per rintracciare il piede che, nel fuggi fuggi precipitoso, aveva lasciato la celebre scarpetta. Il casatiello e la pastiera, quindi, erano presenti sulle tavole dei napoletani almeno dal 1600. Questo Γ¨ il caso in cui la fonte storica si trova in una fiaba.

Il casatiello Γ¨ tipico del napoletano. Il nome deriva dal latino caseus, “formaggio”, e da caso, cioΓ¨ “cacio” da cui “casatiello” per il gran quantitativo che ne viene utilizzato oltre alla farina, allo strutto, al salame, ai ciccioli e alle uova. Le origini risalgono all’epoca in cui Napoli era prima greca e poi romana e veniva realizzato in primavera durante i festeggiamenti in onore di Demetra (la dea greca).

La vera ricetta della pastiera “dolce”, aderente a quella di oggi, fu scritta nel 1837 da Ippolito Cavalcanti, cuoco e letterato napoletano, in quanto l’antica versione era rustica. La creazione del dolce Γ¨ avvenuta nel Convento di San Gregorio Armeno, grazie alle monache, per festeggiare la resurrezione di Cristo.

Una leggenda narra che la sirena Partenope, ogni primavera, emergeva dalle acque e cantava. I napoletani, per ringraziare la sirena, le fecero sette regali: farina, ricotta, uova, grano, fiori di arancio, spezie e zucchero. Quando la sirena si inabissò, le onde del mare mescolarono il tutto. Così nacque la pastiera che la sirena donò agli Dei.

In queste occasioni, festive e religiose, dopo le due pietanze Γ¨ immancabile concludere i festeggiamenti con un buon vino: una Falanghina per il casatiello ed un Lacryma Christi per la pastiera, poichΓ©, com’Γ¨ noto a Napoli, tutto finisce “a tarallucce e Vvino”.

 

Saluti cordiali,

Pino Spera, Responsabile della Sezione Storia della Biblioteca I Care, Pomigliano d’Arco.Β 

 

 

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