RECENSIONE – Attesa con fervente trepidazione per due anni, la terza stagione de “L’amica geniale” è già giunta al termine. Ieri sera Rai1 ha trasmesso infatti gli ultimi due episodi della serie che è ancora disponibile sulla piattaforma di RaiPlay. Otto puntante intense, gravide di eventi e riflessioni, che non hanno assolutamente deluso il pubblico. Il sottotitolo del terzo capitolo della saga, “Storia di chi fugge e chi resta”, descrive degnamente gli eventi a cui l’eccellente regia di Daniele Luchetti ha dato vita sul piccolo schermo a partire dalle pagine della scrittrice Elena Ferrante. Gli spunti su cui soffermarsi sono davvero innumerevoli.
Innanzitutto è doveroso sottolineare quanto la qualità della performance recitativa delle due attrici protagoniste sia lievitata in maniera esponenziale. Gaia Girace (Lila) e Margherita Mazzucco (Elena) hanno iniziato questo percorso nel 2018 con un talento ancora un po’ acerbo per la giovane età. Adesso, a distanza di pochi anni, è evidente quanto entrambe siano professionalmente maturate molto sul set. Questo aspetto è emerso soprattutto nelle scene di maggior pathos in cui le protagoniste hanno di più messo a nudo le proprie paure e fragilità. L’episodio in cui Lila urla in riva al mare e l’incubo in cui Elena lotta contro l’amica sul pavimento ne sono esempi lampanti.
Per il resto tutto il cast ha lavorato in modo davvero spettacolare, ma una menzione speciale spetta all’eccellente e sublime interpretazione di Rosaria Langellotto nei panni di Gigliola. Il vigore del suo monologo – quello della confessione a Lenú – sicuramente rappresenta un piccolo gioiello che resterà nella storia della fiction italiana.
In ultimo non si trattengono le mani da un applauso tutto dedicato alla piccolissima Sofia Luchetti (figlia del regista) nel ruolo della deliziosa Dede, la figlia di Elena e Pietro Airota (Matteo Cecchi). Ha recitato con naturalezza e grande espressività, nonostante sia solo una bambina.
La fotografia e l’intera estetica della stagione sono notevoli. Non sono da meno la cura nella ricostruzione delle location, la ricercatezza nei dettagli dell’epoca e la scelta di outfit che inseguono adeguatamente la moda degli anni Settanta.
La trama prosegue il racconto dell’amicizia di Elena e Lila, del loro legame che è contrassegnato allo stesso tempo da sodalizio e competizione. Tuttavia questo terzo capitolo si sofferma maggiormente sull’evoluzione della vita di Elena, voce narrante di tutte le vicende. Lila compare molto di meno, le viene dedicato meno spazio: uno sviluppo narrativo necessario per permettere alla stessa Lenú di prenderne le distanze e per “cessare di desiderare di diventare”. Elena deve riscoprire la propria identità in autonomia, non più alla luce del costante raffronto con la genialità di Lila, un paragone con cui da sola si tormenta sin dall’infanzia. A un certo punto Lenú diventa veramente adulta, diventa scrittrice apprezzata, moglie e madre. Si lascia alle spalle la degradante realtà del rione, eppure continua a covare dentro di sé un insaziabile senso di inadeguatezza che la divora. Per anni Elena sembra sempre aver paura di osare. A causa del suo temperamento mite e introverso, permette spesso agli altri di trattarla con sufficienza. Incalcolabile il numero delle volte in cui lo spettatore avrebbe piacere di scuoterla per permetterle di reagire in maniera meno passiva. Poi finalmente il momento fatidico arriva: Lenú reagisce alla vita e attraversa un percorso di nuova crescita.
Sullo sfondo il racconto della Storia italiana, gli scontri tra comunisti e fascisti, le lotte operaie, il dramma delle Brigate Rosse e soprattutto le battaglie del femminismo. Il tema dell’evoluzione del ruolo della donna è così prepotente e ingombrante che spesso sembra che le vite dei personaggi siano solo un pretesto per narrare lo sviluppo dell’emancipazione femminile. Se ne analizzano le difficoltà e gli ostacoli. Vengono mostrate scene di cortei e manifestazioni. Sono menzionate le conquiste di quegli anni come il divorzio e gli anticoncezionale, ma anche i drammi dello stupro e l’ipocrisia di una società delle apparenze.
Tutti i dialoghi tra Elena e Pietro sono costruiti con minuzia per rendere l’idea dell’inettitudine di lui nello svolgimento dei compiti domestici più semplici. La famiglia Airota appartiene a una classe privilegiata. La condizione di moglie e madre di Lenú non è paragonabile a quella di una casalinga sottomessa del rione napoletano da cui proviene. Pietro è figlio della sua epoca ed è ancora ancora ai tradizionali ruoli di genere del sistema patriarcale. Tuttavia non lo si può assolutamente descrivere come un mostro di marito. Lontano anni luce dalla violenza fisica e verbale di Stefano Carracci (Giovanni Amura), Pietro Airota viene spesso considerato dalle altre “un marito da invidiare”. Un uomo mite, intelligente, colto, una persona perbene e di prestigio. Eppure con Elena si rivela un compagno noioso, assente. Un marito distratto, incapace di ascoltare e accogliere le esigenze della moglie che cerca la passione dopo essersi sposata per affetto. Elena ricorda quasi una moderna Emma Bovary di Flaubert nel suo rincorrere sempre nuove emozioni forti per sfuggire all’apatia della quotidianità. Ed ecco allora l’ennesima riflessione sulla condizione della donna condannata all’infelicità nonostante la cultura, il benessere economico, la stabilità e un marito affidabile. Un po’ la tesi sostenuta anche da Oriana Fallaci nel saggio “Il sesso inutile” dopo aver viaggiato e intervistato donne in lungo e largo per i continenti. Non importa a quale estrazione sociale tu appartenga: nel microcosmo di Elena Ferrante gli uomini riescono sempre a rilegare le donne un passo indietro. Continuano “a istruirle e a cercare di plasmarle in funzione del maschio”.
E se non lo fanno in maniera spudorata, c’è in alternativa il metodo di Nino Sarratore (Francesco Serpico) che strumentalizza il femminismo per sedurre e manipolare le donne. In una realtà in cui gli uomini si comportano come se tutto fosse loro dovuto, Nino appare come una mosca bianca. Il suo è un personaggio molto complesso e piuttosto detestato dal pubblico. Purtroppo si evolve seguendo la pessima scia tracciata dal padre fedifrago. Ha l’astuzia di corteggiare le prede e non pretendere apertamente, celando il proprio tornaconto. Nel suo essere senza scrupoli, è molto intelligente. Nino Sarratore incarna il prototipo dell’uomo che “capisce le donne”. Ne intuisce i bisogni, dona loro apparentemente quello che vogliono e infine le raggira. Elena Ferrante ama denunciare la realtà: ha così l’opportunità di raccontare come anche donne estremamente forti, intraprendenti e brillanti possano ugualmente cadere vittime di simili trappole psicologiche.
In conclusione il maggiore dei pregi de “L’amica geniale” è il modo in cui la finzione riesca a descrivere la realtà con schiettezza. Dinamiche e meccanismi ancora attuali. Storia di chi resta e di chi fugge, non solo dai luoghi fisici. Soprattutto la storia di chi resta nelle avversità e di chi fugge dalle responsabilità oppure ha il coraggio di ricominciare. La serie racconta la brutalità e le contraddizioni della vita e dei contesti sociali esercitando pressione sui tasti giusti. Ne fuoriesce un’armoniosa melodia capace di innalzare il proprio grido universale, senza menzogne e senza pudori.
Di Valentina Mazzella