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Il catasto onciario

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Sala del Capitolo, archivio di Stato di Napoli.

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Nel 1741 Carlo di Borbone pensΓ² di far pagare le tasse ai cittadini del Regno per ripartire il peso fiscale in maniera proporzionale. Fino a quel momento storico, il sistema di tassazione vigente era “la gabella” e veniva pagato direttamente sui consumi dei cittadini. Ogni volta che si acquistava pane, olio, vino etc. venivano pagate le tasse, potremmo oggi paragonare la tassa alla moderna IVA.

Carlo III voleva introdurre un sistema di imposizione, basato sul patrimonio ed i redditi; chi aveva di piΓΉ, avrebbe dovuto pagare di piΓΉ. Per far ciΓ², Re Carlo pensΓ² che bisognava anzitutto fare un censimento delle ricchezze dei cittadini del Regno.

Il termine catasto oggi trae in inganno, il catasto onciario, invece, lo potremmo oggi paragonare a qualcosa di simile ad una anagrafe tributaria. Il catasto fu chiamato “onciario” perchΓ© l’oncia (antica moneta in uso nel Regno di Napoli) fu l’unitΓ  di misura utilizzata per censire le ricchezze delle famiglie dei comuni del Regno.

Per un preciso censimento della popolazione, fu richiesta, l’opera dei parroci che erano i soli ad avere un quadro preciso della popolazione. I parroci, infatti, avevano un quaderno “Stato delle anime” nel quale registravano battesimi, matrimoni e funerali.

I libroni che venivano inviati a Napoli dai comuni della provincia sono oggi custoditi nell’Archivio di Stato di Napoli nell’affascinante sala del Capitolo.

Saluti cordiali,

Pino Spera, Responsabile della Sezione Storia della Biblioteca I Care, Pomigliano d’Arco.Β 

 

 

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