I diritti per essere esercitati devono essere riconosciuti (John Stuart Mill)
Una lunga scia di sangue che anche quest’anno, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ci costringe a fare un bilancio drammatico, aggravato dalla segregazione domestica in tempo di pandemia, con un femminicidio ogni 3 giorni, che porta a quota 91 le vittime da inizio anno. Dati che testimoniano quanto lontana sia la meta della parità di genere. Per porre fine a questa ‘pandemia ombra‘, com’è stata definita dal direttore generale dell’Onu, António Guterres, non basta stabilire uguali diritti e adottare politiche strutturali contro discriminazioni e disuguaglianze. Occorre vincere la battaglia più dura, quella culturale.
Da secoli la consuetudine accompagna un’impostazione patriarcale della società con modelli e comportamenti tacitamente accettati come norma, paradigmi incatenanti a stereotipi di ruoli tutt’ora penalizzanti per la donna. Tante le conquiste ottenute, ma è un dato di fatto che esista a una disparità di genere ancora molto marcata nel mondo. E la violenza perpetuata a danno delle donne, ne è un indice molto evidente.
John Stuart Mill, filosofo ed economista inglese dell‘800, considerato il padre delle suffragette e del pensiero libero, affermava che la consuetudine stabilisce le regole morali, politiche e sociali che il senso comune segue e che avere uguali diritti non necessariamente significa essere uguali. Il diritto per essere esercitato, deve essere riconosciuto. E il riconoscimento passa attraverso la consuetudine, un sistema di regole invisibili universalmente accettato.
Il punto è che il mondo si è radicato, per consuetudine, sullo sguardo di una sola metà del genere umano: l’uomo. Occorre smantellare questa impostazione culturale che vede il predominio di una società ancora profondamente patriarcale e accettare finalmente un cambiamento epocale. L’entrata in scena delle donne è una realtà ormai, ma con una resistenza maschile ancora molto forte. Se vi sono disparità strutturali da colmare, e’ perché culturalmente siamo arretrati. E il cambiamento deve riguardare tutti, anche le donne che non devono più accettare una realtà già pensata e devono diventare consapevoli del proprio valore e della forza di cambiamento che ognuna di loro può rappresentare.
Stabilire uguali diritti e colmare le disparità, dall’occupazione al trattamento salariale, all’asimmetria sociale è importante, ma è altrettanto fondamentale cambiare le regole invisibili che relegano la donna ancora in una situazione di subalternità rispetto all’uomo.
Se la recrudescenza della violenza alla quale stiamo assistendo fosse originata solo dallo sbilanciamento tra diritti e doveri, una volta ristabilito l’equilibrio, si sarebbero sanati tutti i problemi. Invece, la cronaca ci dimostra che, riconoscere e parificare i diritti o inasprire le sanzioni per chi commette violenza, pone qualche argine forse, ma non è la strada per mettere fine a tutto questo.
E’ di oggi, infatti, la notizia di altri due femminicidi, uno a Catanzaro e l’atro a Padova. Un abominio senza fine che testimonia l’avvitamento a cui stiamo assistendo sul ritorno a un pensiero di possesso e di dominio maschile che inevitabilmente sfocia in violenza. Se, infatti, la donna è ritenuta oggetto di supremazia per un riferimento a un codice di valori millenario, tutto ciò che segue e’ viziato all’origine. O si modifica profondamente l’impostazione di mondo concepito e normato al maschile o non se ne esce.