Doveva essere un primo giugno in cui – oltre a respirare polline e primavera in egual misura – avremmo indossato i nostri vestiti nuovi per andare festeggiare questo nuovo inizio di vita insieme (e per dichiarare ufficialmente aperta la stagione dei matrimoni – degli altri). E, invece, non abbiamo fatto in tempo. Non abbiamo fatto in tempo perché questo virus che è stato l’argomento del giorno da tre mesi a questa parte, che toglie il respiro e gli abbracci e una parte di noi, non lo ha permesso. Perché é così che a volte vanno le cose, per caso e per distrazione e per destino, assecondando gli incastri della vita. Le cose, tutte, si evolvono. Assecondando i tempi i desideri e le necessità. Assumono forme diverse a seconda di ciò è che siamo e soprattutto di ciò che vogliamo diventare. Ma in fondo niente cambia se non cambia niente. Figuriamoci l’amore. Davanti al quale possiamo solo restare in silenzio, lasciar perdere tutto, a cominciare da quello che stiamo facendo, e andare a viverlo e a farlo e dargli la forma di una parola, di una canzone, di un gesto, di un colore. Perché quello che siamo è lì che si nasconde. Nelle forme in cui siamo in grado di materializzare l’amore. E ne varrà la pena anche aspettare. Fin quando avremo amori con cui darci appuntamento alle diaciannove davanti a un bicchiere di vino, ne varrà sempre la pena. Perché torneremo ad indossare i nostri vestiti nuovi in una notte qualunque per andare a festeggiare, brilli di vita, questo nuovo inizio soltanto rimandato. E sarete pieni di prime volte e lo ritroverete insieme il sapore buono della vita. Aspettando come un piccolo miracolo che riavvolga il nastro, per svegliarvi una domenica, guardarvi negli occhi con il caffè ancora fumante e dirvi “Portami al mare che oggi ti sposo”.