Lo so, non è marzo e nessuno regala mimose gialle al gentil sesso. Eppure in questo periodo meditavo lo stesso sulla condizione della donna. Non c’è bisogno ogni volta di attendere l’ennesimo caso di cronaca eclatante o la ricorrenza di una festa commerciale per farlo. A voi capita mai di soffermarvi a riflettere sul ruolo della donna nella sua evoluzione storica sotto il profilo psicologico? Sono innumerevoli i concetti che si possono ribadire in merito senza apparire brillanti quanto a originalità, ma è tutto vero.
Ad esempio ricordare che per secoli la donna è stata purtroppo costretta a un ruolo subordinato e di sottomissione all’interno di società patriarcali che la volevano appendice di un uomo. Quasi fosse un bene privato del padre, dei fratelli o del marito. Lo testimoniano leggi assurde come il delitto d’onore ancora contemplato ammissibile fino al 1981 e alla percezione dello stupro non come reato contro la persona, ma “contro la morale e il buon costume” fino al 1996. Del resto gli strascichi di questa mentalità maschilista e possessiva emergono ancora negli infiniti e attualissimi episodi di stalking e femminicidio, denunciati e non.
Tutto sommato ad oggi le donne hanno anche finalmente vinto molteplici battaglie. Sono più libere, possono studiare e lavorano. Almeno in Occidente viene loro legalmente riconosciuta la parità di genere. Le pari opportunità e le cosiddetta quote rosa crescono negli ambiti più variegati. È assolutamente anche vero che ostacoli e disparità proseguono a regalare quotidiane grane. A partire dal retaggio sessista nel linguaggio comune alle più ingiuste differenze di stipendio fra uomo e donna. Però, abbracciando l’ottimismo, si spera che fra cinquant’anni tanti nuovi traguardi saranno stati raggiunti.
Tuttavia dietro le quinte accade dell’altro. Un altro fenomeno sibila e lascia l’amaro in bocca. Delle donne sottomesse e delle donne in carriera si parla spesso. A proposito delle mamme lavoratrici si accenna sempre prestando attenzione a non ferire sensibilità alcuna perché se non usi le parole adatte sembra che si voglia colpevolizzare la categoria per aver scelto, giustamente, di alzarsi le maniche. Un po’ di meno si discute invece delle donne che nel 2019 scelgono di essere semplicemente moglie e madre. E non importa se la signora in questione sia magari pure laureata, abbia alle spalle fior di master e abbia in passato sempre lavorato. Oggi per una donna, soprattutto se giovane e nubile, affermare in pubblico che nella propria scala di valori si dia più importanza al desiderio di essere o divenire moglie e madre è altamente impopolare. Inevitabilmente si verrà guardate come una povera disgraziata.
Qualcuno dei presenti magari potrebbe mormorare: “Va be’, ognuno poi è felice a modo suo”, ma solo per cortesia o per essere politicamente corretti. Ciò accade perché tacitamente, pur senza ammetterlo, sempre più di frequente la donna scivola verso una nuova schiavitù che vive l’estremo opposto. Quasi che di questi giorni una giovane donna debba vergognarsi nel dire di avere vocazione alla famiglia perché tale obiettivo viene giudicato come un’aspirazione retrograda e irragionevole senza mezze misure. E – di nuovo – non importa quanto si abbia studiato o quanto si abbia lavorato. In nome della libertà tanto decantata, quella che dovrebbe essere una scelta fra le tante possibili riceve un bollino nero. Sebbene – si badi bene – finalmente oggi in molti contesti possa essere una scelta, non più un’imposizione come in passato. Eppure lo stigma sociale resta. È quello della casalinga giudicata a priori poco evoluta, remissiva e meno in gamba nel complesso. Sebbene non necessariamente la realtà debba coincidere con il preconcetto.
Fra l’altro allo stesso modo altre occhiate di disapprovazione spettano da sempre anche all’uomo che sceglie di fare il “mammo” a casa mentre la partner lavora. E non interessa a nessuno che magari alla coppia in questione possa star bene così. In breve perseverano nuove catalogazioni in decisioni di serie A e decisioni di serie B. Non si riesce ad accettare che ogni individuo possa per sé preferire uno stile di vita diverso da quello proposto dai presunti standard del successo e dalla pressione sociale. Accade così che la donna oggi non sia ugualmente libera. Questa volta non per il sessismo, ma perché ha appeso al chiodo lo stereotipo dell’angelo del focolare e si costringe non troppo di rado a indossare quello dell’emancipata a tutti i costi. Nè più e nè meno. E si stende pertanto il tappeto all’interrogativo più grande: quando la donna sarà veramente libera di essere una persona e non più la proiezione di un modello predefinito? Chissà, ma la consapevolezza è il primo passo per affrontare il problema.
Di Valentina Mazzella