Di Valentina Mazzella
POMIGLIANO D’ARCO – Le vediamo di frequente nelle nostre città, per strada mentre camminano oppure nei supermercati impegnate a far la spesa. Magari aiutano in casa di amici o si prendono cura proprio di un nostro parente: sono le donne dell’Est. Centinaia, migliaia di donne provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est che migrano in Italia in cerca di un lavoro per poter sostenere economicamente a distanza le proprie famiglie. È il fenomeno di un esodo femminile che avviene sotto gli occhi di tutti, troppo spesso nel silenzio dell’indifferenza. Proprio per questo il Centro Giorgio La Pira di Pomigliano d’Arco ha preso a cuore l’argomento scegliendo di affrontarlo nell’ambito del quarto incontro del progetto “Popoli in cammino… verso la speranza” – “E… Venti di primavera” di sabato 14 aprile promosso dalla Biblioteca I Care, curato e mediato da Mimmo De Cicco, Presidente dell’associazione. Protagonista indiscussa della giornata è stata la scrittrice moldava Lilia Bicec, una donna forte con un passato difficile alle spalle che ha condiviso la sua testimonianza di esperienze critiche vissute purtroppo ancora da tantissime sue connazionali.
L’evento è stato organizzato in due momenti. Un primo appuntamento, al mattino, è stato rivolto agli studenti delle scuole del territorio. Nello specifico sono state accolte alcune classi dell’ITIS Eugenio Barsanti e dell’ISIS Europa di Pomigliano. Nel pomeriggio invece le porte del Centro Giorgio La Pira sono state aperte ai soci e a tutti i cittadini interessati. In entrambe le occasioni si è deciso di addentrare gli ospiti nel tema proiettando il documentario “C’è un posto per me nel mondo” (2016) di Francesco Conversano e Nene Grignaffini, realizzato dalla Rai per il noto programma Doc3, in cui regia e montaggio suggestivi accompagnano Lilia Bicec nel racconto toccante della sua vita.
È la storia di una donna nata in Moldavia, una nazione dell’Europa dell’Est ufficialmente detta Repubblica di Moldavia e spesso chiamata in romeno Moldova che non va però confusa con l’omonima regione Moldavia della Romania, spiega la Bicec. La storia di una donna laureata alla Facoltà di Giornalismo che in patria ha lavorato per undici anni come giornalista, senza tuttavia essere pagata adeguatamente. La storia di una moglie che ha a lungo subito le angherie di un marito violento. La storia di una madre che un giorno è stata costretta dall’indigenza economica a lasciare i suoi figli, Cristina e Stasi (all’epoca di otto e dieci anni), per cercare fortuna all’estero. È la storia di questa stessa donna che ha attraversato clandestinamente l’Europa per la disperazione e si è ritrovata a essere arrestata in Germania come una delinquente per aver oltrepassato il confine. La storia di una giornalista che giunta in Italia ha messo da parte i propri titoli accademici per fare da badante ad anziane analfabete che la consideravano inferiore “perché straniera”. La storia di una madre che ha impiegato anni per racimolare soldi e permesso di soggiorno per far entrare in Italia anche i suoi due figli.
Queste e tante altre circostanze sono state narrate da Lilia Bicec anche nel suo primo libro “Miei cari figli, vi scrivo”, edito nel 2013 da Einaudi. Una raccolta epistolare che l’autrice aveva inizialmente scritto solo per farla leggere un giorno ai suoi figli quando sarebbero stati abbastanza grandi per capire le ragioni che l’avevano spinta alla scelta drastica di andare così lontano da loro. Poi un giorno è accaduta una tragedia: suo figlio Stasi è morto. Non avrebbe più potuto leggere le sue lettere. Perciò Lilia Bicec ha deciso di provare la strada della pubblicazione: perché altri venissero a conoscenza di quanto aveva patito e quanto continuino a patire tantissime altre donne nelle sue condizioni. Per lo stesso spirito di denuncia di recente la scrittrice ha pubblicato anche un secondo libro dal titolo “Boomerang” (Europa Edizioni) in cui, attraverso le pagine di diario di un personaggio di finzione, prova a dar voce all’altra prospettiva, quella dei figli che restano smarriti in Moldavia. Protagonista del romanzo è infatti Elena, una bambina di dieci anni la cui madre è emigrata in Italia per lavorare.
Non sono mancati a seguire dei momenti dedicati al dibattito in cui i presenti hanno avuto modo di porre delle domande alla scrittice. Lilia Bicec ha risposto a tutti con sincerità, regalando interessanti spunti di riflessione e approfondimento. Bella e intelligente, Lilia Bicec porta dentro i suoi dolori, nella stessa maniera composta ed elegante con cui siede sulla sedia. Riesce a toccare le corde emotive dei presenti senza dover ricorrere a eccessi. Racconta il comunismo, la deportazione di cui i suoi nonni sono stati vittime, le ingiustizie del regime che hanno colpito i suoi genitori. Ricorda i tempi in Italia in cui lavorava come colf, il lungo periodo in cui avvertiva di vivere ai margini della società. Poi finalmente, dopo quella che lei chiama “la caduta”, la fase in cui si è rialzata e ha iniziato ad affezionarsi all’Italia. Lilia Bicec spiega che l’integrazione avviene sempre attraverso la cultura, sottolineando quanto per lei sia stato importante studiare la lingua italiana e apprendere la nostra storia. Aggiunge che nel suo caso un ulteriore salto di qualità per sentirsi più accettata è stato possibile grazie all’arrivo dei figli: da quel momento in poi molti la salutavano perché non era più una semplice straniera, ma la mamma di Cristina e Stasi.
Alcuni degli ospiti del Centro le hanno chiesto perché secondo lei l’esodo dall’Est sia al femminile, cosa facciano i loro uomini invece di lavorare e come mai la meta di destinazione di tante donne sia proprio l’Italia. Lilia Bicec spiega che si tratta di una vera e propria emergenza sociale ed economica che devasta una Nazione dinnanzi alla quale il Governo moldavo non prende i provvedimenti opportuni. Sfata il mito degli uomini dell’Est pigri e senza voglia di darsi da fare e racconta come in passato tanti uomini moldavi siano emigrati in Russia per cercare impiego. Anche suo marito, che purtroppo tornó a casa dopo sei mesi senza che nessuno l’avesse pagato per il suo lavoro. Per questo nasce l’esigenza delle mogli e delle madri di non restare immobili, di farsi carico del mantenimento della famiglia e recarsi dove la domanda del mercato chiede donne: in Italia, in Italia dove la popolazione ha molti anziani e un gran bisogno di colf e badanti. Esattamente quanto non avviene ad esempio in Francia o in Germania dove esistono molti più centri specializzati e ospizi per accogliere anziani. Di fronte a questi fatti la Bicec non trova esagerato neanche parlare di un passaggio in Moldavia da un sistema sociale patriarcale a uno matriarcale. A chi le domanda invece come abbia trovato il coraggio di lasciare i suoi figli con un uomo che sapeva essere violento e fino a che punto sia giusto sostituire la presenza materna con il denaro per fronteggiare la povertà, Lilia spiega che in fondo ai bambini non si possa sempre del tutto nascondere la violenza e che quando non hai i soldi per comprare una torta di compleanno o anche solo del latte per i tuoi bambini, a un certo punto sei obbligata a prendere delle decisioni così radicali, sebbene dolorose. Dolorose. E Lilia, che ha vissuto di nostalgia e malinconia per anni nel non poter ogni giorno abbracciare i suoi figli, lo sa bene. Certo, adesso è felice: vive a Brescia con il suo nuovo marito, la figlia Cristina le ha regalato da poco un nipotino e finalmente può dedicarsi alla penna come scrittrice e giornalista. Ma il ricordo degli anni dedicati allo straccio e ai pavimenti, degli anni lontani dai suoi bambini in un Paese in cui molti la guardavano dall’alto in basso, non si cancellano da un giorno all’altro. Soprattutto se si ha la consapevolezza che ancora oggi tante donne stiano attraversando lo stesso identico travaglio.
Il problema forse è che noi cittadini degli Stati del benessere siamo troppo spesso assopiti. Vorremmo comprendere le scelte e le mentalità straniere continuando ad applicare i costrutti delle nostre culture e del nostro quotidiano. E alle volte dimentichiamo che una madre possa amare in diversi modi i propri figli, pur sempre anteponendo loro a se stessa. Da qui la necessità di affrontare la questione, di discuterne per svegliare le coscienze e sensibilizzare gli animi. Gli incontri si sono conclusi con degli interventi del professor Gaetano Pugliese, fondatore e Presidente emerito del Centro Giorgio La Pira, che, a proposito delle difficoltà di ognuno nel trovare il proprio posto nel mondo, ha deciso di citare una frase di Seneca: “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Ha rammentato inoltre che i Magi nel Vangelo si misero in cammino proprio perché avevano visto la stella. Pertanto, se è vero quanto Antoine De Saint Exupéry diceva ne “Il Piccolo Principe”, ossia che il cielo sia ricco di stelle affinché ognuno possa trovarne una propria, il professor Pugliese ha osservato che in un giorno così ricco di confronto, dialogo, testimonianze e storia in fondo abbiamo un po’ tutti trovato a modo nostro una stella, una fonte di ispirazione affinché un domani qualcosa possa cambiare.