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Lettera a Giada: il tuo mondo esisteva

1945

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Di Valentina Mazzella

 

NAPOLI – “Cessate di uccidere i morti” recita il verso di una famosa poesia di Giuseppe Ungaretti il cui eco sembra frusciare in lontananza nel leggere i molti articoli che in questi giorni hanno raccontato la storia di Giada, la ragazza di ventisei anni che lunedì si è gettata da un tetto della Federico II presso Monte Sant’Angelo. Non serve aver conosciuto Giada di persona per avvertire una stretta al cuore nello sfogliare le testate che scrivono di lei, nel provare a immaginare l’immenso senso di smarrimento di cui è stata vittima, nel vedere le sue foto spiattellate a destra e a manca dai giornali, nel leggere che “il suo mondo non esisteva”. Soprattutto questa frase fa male: “il mondo di Giada non esisteva”. Fa male. Fa proprio male. Sono le parole con cui, fra una riga di comprensione e una di commozione, si cerca di dire con toni delicati e politicamente corretti che sostanzialmente Giada fosse una bugiarda. E fondamentalmente è vero, ma la domanda è: è stata forse l’unica? No, purtroppo no. Il mondo è pieno di Giade. Uomini o donne, giovani o vecchi di tutte le età e provenienze che mentono e inventano dettagli piccoli o menzogne grandi come case per sentirsi più adeguati. Non prendiamoci in giro: credo che non ci sia nessuno che non abbia mai detto anche solo una piccola bugia per apparire diversi da come si è, giusto o sbagliato che sia. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” è il caso come sempre di rammentare.

Certo, fra il mentire sul prezzo di una maglietta e il raccontare una quotidianità diversa dalla propria ce ne passa, potranno obiettare in molti ed è innegabile. Tuttavia c’è un quesito: di chi è la colpa? Chiaramente non sempre in tutte le faccende deve necessariamente esistere un colpevole, ma in casi come questo sarebbe un bene se ci fermassimo a riflettere. Solo per questo trovo giusto parlare di Giada: come scrive lo scrittore Erri De Luca a proposito dei suicida nel suo libro “Alzaia”, si può tranquillamente affermare che Giada si sia fatta ‘facchino del dolore’ di molti. La sua scomparsa è purtroppo un’occasione in cui la società deve prendere una pausa e farsi un’analisi di coscienza, riconsiderare la propria classifica delle priorità. Dove siamo tutti quando eccessive aspettive della collettività lievitano schiacciando le sensibilità più fragili? Dove siamo tutti quando il fallimento annienta questi animi portandoli all’oblio e alla solitudine interiore più nera? Forse bisognerebbe iniziare a trasmettere il messaggio che l’ambizione sia legittima, ma che esiste anche il compromesso e che più importante della caparbietà nell’inseguire i propri sogni alle volte sia la capacità di riconoscere consapevolmente i propri limiti o le avversità della vita per reinventarsi. È importante saper accettare le sconfitte e proporsi nuovi obiettivi più idonei a noi stessi invece di idealizzare un sogno e morire per esso. Alle volte siamo come i bambini di pochi mesi che non sanno ancora che i piedi possano servire a camminare. Non conosciamo il nostro potenziale fin quando non esplode, eppure gli strumenti sono sempre stati lì.

Fa male anche l’idea che Giada avesse costruito questo castello di bugie giorno dopo giorno per quattro anni “per non sfigurare” ed oggi di fatto tutti sappiano tutto quanto lei si è a lungo impegnata a occultare. Anche questo fa pensare… A che è servito nascondersi per quasi un lustro e poi scegliere di uscire di scena in questo modo così eclatante? Se la vita fosse una partita, diremmo che Giada abbia perso tutto. Credeva di essere in un vicolo cieco, ma non era vero. Senza ipocrisie e la retorica sulle bugie che hanno le gambe corte e sull’incontestabile valore della verità, anche senza il coraggio di confessarsi avrebbe potuto scegliere tante altre strade che non fossero irreversibili. Nell’assurdo dell’assurdo avrebbe potuto paradossalmente andare via di casa senza avvisare oppure dire la verità all’ultimo solo ai genitori, non invitare nessuno all’inesistente proclamazione, non organizzare feste e sostenere di essersi laureata senza fuochi d’artificio come altri casi di cronaca raccontano. Chiaramente resta indiscusso il fatto che questa filosofia dell’apparire sarebbe stata ugualmente vuota, immatura e non consigliabile, ma pur sempre preferibile a una giovane vita spezzata.

Allora mi rivolgo a Giada, a tutte le Giade che oggi e domani si trovano o si troveranno a vivere situazioni critiche analoghe: non pensiate che il vostro mondo non esista. Il mondo di Giada esisteva. Non è vero il contrario. Altrimenti questa giovane non avrebbe fatto un salto nel vuoto per un qualcosa che non la riguardava. Il mondo di Giada non sarà stato l’università secondo i parametri comuni fatti di esami e bei voti, ma lo sarà stato nell’ansia e nell’angoscia dell’insuccesso. Qualcuno si è chiesto perché la ragazza non desse esami o si pensa davvero che semplicemente non chinasse la testa sui libri? Non sapremo mai se Giada abbia affrontato difficoltà nello studio e non conosceremo mai magari la sua frustrazione nel non riuscire a conseguire risultati, ma in ogni caso non si può ridurre il mondo di una persona alla sua attività principale, che sia lo studio o il lavoro. Il mondo di Giada era dato dalla sua famiglia, dal fidanzato, dagli amici, dalle sue passioni… E se Giada ha commesso un grave errore è stato proprio l’aver creduto il contrario. E non è giusto che per paura del giudizio altrui tante altre dimensioni che componevano la sua esistenza siano state sacrificate. Non è giusto. Ma non c’è nessuna protesta nel suo gesto estremo. Non si diano etichette fuorvianti per onorare la memoria di chi si è arreso. Non si ricopra di equivoche e romantiche vesti eroiche alcuna scelta tragica. Si protesta vivendo. E questo Giada purtroppo l’aveva dimenticato. Non ne valeva la pena. Non ne vale la pena, in nessun caso.

 

 

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