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“Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco” con Alessandro Preziosi nei panni del pittore al Teatro Mercadante

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Di Valentina Mazzella

 

RECENSIONE – Nella cultura occidentale il bianco è il colore associato per antonomasia alla purezza, all’innocenza. Oppure alla pulizia e all’idea di un nuovo inizio. Tuttavia il pubblico dello spettacolo “Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco” di Stefano Massini, diretto dalla regia di Alessandro Maggi, è chiamato a riscoprirne un’interpretazione diversa recandosi al Teatro Mercadante di Napoli fino a domenica 25 marzo. L’opera racconta il periodo di ricovero del celeberrimo pittore olandese presso il manicomio di Saint Paul de Manson in Provenza in cui fu internato negli ultimi anni della sua vita poco prima della morte da suicida.

Attraverso un dialogo ricco di pathos fra il protagonista e il fratello Theo, vengono ricostruite tutta la sofferenza e la drammaticità del disturbo che tormentava Van Gogh. Un’angoscia che diventa palpabile e opprimente anche per gli spettatori proprio tramite la sua sovrapposizione con l’invadente neutralità del bianco della scenografia. Di grande impatto l’eccezionale interpretazione di Alessandro Preziosi nel ruolo del protagonista, capace con il suo talento di raccontarci la rabbia e la follia di un Vincent Van Gogh uomo e artista. Così come altrettanto ottima è la prestazione di Massimo Nicolini nei panni di Theo e degli altri attori: Francesco Biscione (il Dottor Peyron), Roberto Manzi (il Dottor Vernon-Lazàre), Alessio Genchi (l’infermiere Gustave) e Vincenzo Zampa (il secondo infermiere Roland).

L’ambiguità della percezione dei fatti che invita a riflettere sulla contingenza della realtà che ci circonda, il delirante aggirarsi per la stanza a piedi nudi di Van Gogh, la scelta di un pavimento scenografico leggermente reclinato e pendente in avanti: sono tutti espedienti che scuotono nell’intimità la sensibilità del pubblico. Sono provocazioni che lo spingono a scavare nel profondo delle proprie fragilità. Sospesi fra sanità mentale e pazzia, sogno e realtà, improvvisamente si capisce. Si inizia a empatizzare con l’animo del pittore: quel bianco così candido privo di colori inizia a turbare anche noi. Quella stanza così bianca – in cui, non solo le pareti, ma anche i fiori sbocciano bianchi – ci tormenta. Non è più luminosa: appare vuota e disperata come fosse inghiottita dal buio più nero. Van Gogh è intrappolato in una doppia prigione: la stanza e la sua mente. Quel bianco non rimanda solo a una tela vuota. Diventa icona di un’esistenza senz’arte, senza passione. Simbolo di solitudine, di quelle solitudini che spingono all’analisi di se stessi. E allora finiamo anche con l’avvertire cosa ci sia di assordante nel bianco, come recita il titolo: il silenzio, più forte di tante grida. E poi l’odore della sua inconsistenza che ci spaventa, solleticando inquietudini e coscienza.

 

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