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“Il ventre di Napoli – Parte seconda”: un continuo che appare un finale senza inizio

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Di Valentina Mazzella

RECENSIONE – Gli spettatori che, nel grembo del Ridotto Mercadante di Napoli, hanno assaggiato in febbraio la passione de “Il ventre di Napoli – Prima parte” di Fausto Nicolini sicuramente si saranno precipitati nell’acquistare anche un ingresso per la seconda parte dello spettacolo che, sotto la guida della regia di Alberto Massarese, sarà in scena fino al 18 marzo. Che dire? Ci si siede sulla panca con la fantasia carica di aspettative. Nel torpore del buio si viene rapiti dalla suggestiva fotografia delle riprese di Emilio Costa che coronano la scenografia, empaticamente soffocati dalle sbarre che condannano l’attrice protagonista a una prigionia fisica e psicologica. Senza riserve, ci si innamora nuovamente dell’interpretazione sublime e ricca di trasporto di Chiara Baffi, questa volta non più nei panni della Serao, ma presumibilmente della città stessa.

Cuore della rappresentazione è mostrare i risultati dell’operazione di sventramento di Napoli che Matilde Serao aveva denunciato all’inizio del secolo, infervorandosi contro il governo di Agostino Depretis. I risultati o lo scempio. Come gli orrori spostati, come la polvere sotto al tappeto, della povertà e della miseria ridistribuite un po’ più in là, nelle retrovie. Nascoste dagli occhi, per dar spazio al maestoso Corso Umberto. Temi ancora oggi scottanti, argomenti che ancora strabordano di attualità. Purtroppo la durata dell’opera è brevissima, di appena quaranta minuti. Il che, al di là del fatto che si tratti di due regie diverse, ci induce a chiederci se non fosse stato meglio cucire insieme le due parti in un unico spettacolo. In questo modo infatti la rappresentazione di Massarese sembra non reggersi tranquillamente sulle proprie gambe con autosufficienza e appare essere più un finale che un continuo.

 

 

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