MILANO – Tantissimi auguri di… non si sa bene cosa. Sembra questa la direzione verso cui la società laica di oggi desidera muoversi. È di tre giorni fa la notizia di una polemica esplosa a Milano dove l’Istituto Comprensivo Italo Calvino ha deciso infatti di abolire la parola “Natale” dai suoi inviti “per non offendere la sensibilità di nessuno e includere tutti”. Così da “Buon Natale!” si è passati agli auguri di buona “Grande Festa delle Feste Buone”, titolo che solo a leggerlo così su due piedi ci fa chiedere cosa sia passato nella testa di chi ha ideato questo nuovo nome. Se il Natale è la Grande Festa, quali sarebbero, di grazia, le Piccole Feste? Vogliamo discriminare la Pasqua che nel cristianesimo rappresenta il vero caposaldo della fede? Oppure le feste delle altre religioni? E in base a quali parametri si può parlare di Buone Feste? Perché in questi termini è come se si accettasse quasi l’idea che esistano anche le Cattive Feste… Inutile dire che le proteste da parte delle famiglie e di alcune frange della destra politica non abbiano tardato nel farsi sentire.
Del resto non è la prima volta che un episodio simile si verifica. Ricordiamo per esempio lo scalpore che l’anno scorso sollevò il famoso caso di Rozzano dove l’Istituto Comprensivo Via Dei Garofani abolì presepe e canti di Natale. O anche, meno di un mese fa, a Palermo il preside del plesso “Ragusa Moleti” ha stabilito con una circolare la rimozione dagli ambienti della scuola delle icone della Madonna e il divieto di preghiera guidata dalle maestre nelle aule prima dei pasti e delle lezioni. Oltreoceano criticatissima è stata anche la scelta del presidente Donald Trump (da cui di solito ci dissociamo) di ripristinare banalmente l’espressione “Merry Christmas!”, sostituita negli USA da tempo dalla più vaga “Happy Holidays!”, decisione accolta aspramente dagli Americani come una provocazione.
Ebbene, è possibile tirare qualche somma da questi episodi di attualità? Dedurre qualche considerazione? Alcuni puntano il dito contro l’immigrazione e giudicano questi fatti come una conseguenza di quella che considerano un’invasione operata da delle remote culture straniere ai danni della nostrana società europea. In sintesi banalizzano la faccenda asserendo che gli Italiani stiano accantonando i propri costumi per far spazio a quelli arabi, laddove in questo periodo storico il nemico numero uno della psicosi collettiva viene identificato purtroppo nei musulmani. Dall’altra parte rammentiamo invece che ci siano in realtà molti atei (chiaramente non tutti, ma molti) che, pur essendo italianissimi, rivendicano lo sgombero degli usi religiosi di varia natura dagli ambienti pubblici poiché li reputano insensati e inutili.
Intanto ieri è intervenuto l’Avvenire smontando il polverone e rivelando la bufala. Possiamo stare tranquilli: non è vero che presso l’Istituto Comprensivo Italo Calvino di Milano quest’anno non si festeggerà il Natale secondo i valori cristiani. Nonostante la dicitura fuorviante sugli inviti rivolti ai genitori, infatti, la settimana prossima la scuola ospiterà tutte le celebrazioni natalizie classiche del cattolicesimo. Non mancheranno presepi, presepi viventi, recite e canti per Gesù Bambino. L’augurio di “Grande Festa delle Buone Feste” aveva davvero tutte le migliori intenzioni di includere anche coloro che il Natale non lo festeggiano. Eppure, senza voler apparire esagerati, possiamo ugualmente prendere le distanze dalla peculiarità del caso e fare un discorso un po’ più generico: oggi resta ugualmente innegabile la crisi che il cristianesimo sta attraversando. La minaccia vissuta dalle tradizioni è solo la punta dell‘iceberg, colpisce le esteriorità. Ciò che resta davvero a rischio è il nucleo dei suoi valori, la componente più intima e profonda.
“Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’Uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli” (Mt 6, 22-23): beh, oggi in Occidente non è di certo in atto alcuna persecuzione sullo stile di Nerone o di Diocleziano come nei primi secoli. Tuttavia andiamo lo stesso incontro a una condizione ardua più subdola, fatta di stereotipi, etichette e accuse di preconcetti. Alle volte si crede di allargare gli orizzonti e invece si finisce con il ridurli, approdando a una paradossale negazione di se stessi, della propria identità e della propria sensibilità. È così che l’uomo moderno si condanna da solo a una società spenta e scolorita in cui tutti, per non offendere l’altro, sono uguali. Una società si costruisce sui cardini che accomunano i suoi membri, è vero. Eppure non bisogna dimenticare che la ricchezza in ogni caso sia sempre data dalla pluralità di pensiero e dalla diversità dei modi di essere.
Di Valentina Mazzella