di Masimo Mastrolonardo
Napoli – Erano anni bui. Anni laddove si finiva al rogo per eresia semplicemente perchè si era antipatici a qualcuno. Anni dove i potenti di una famiglia erano re, cardinali e papi; Imperava la Santa Inquisizione dittatore sommo che tutto poteva in nome di un Dio e della Chiesa. L’epoca del medio evo, buio, triste, dove persino nelle abbazie c’era del marcio, dove si nascondevano i libri del sapere. Dove il popolo, la massa, la plebe nulla sapeva e doveva sapere.
Correva l’anno 1327, alcuni terribili omicidi sconvolgono un’abbazia benedettina sperduta tra i monti del Nord-Italia. Nel monastero viene chiamato il dotto frate Guglielmo da Baskerville. Il francescano, insieme al suo giovane novizio Adso da Melk, si ritrova in un ambiente ostile, un’abbazia piena di libri e di cultura ma anche segreta e spaventosa, su cui dovrà indagare prima dell’arrivo della Santa Inquisizione.
Questa la sintesi del “Nome della Rosa” strepitoso successo letterario di Umberto Eco, portato sulle scene teatrali dal vulcanico Leo Muscato.
Il Regista non poteva che scegliere il teatro Bellini, sempre pronto a novità e testi di difficile fattura. Scommessa vinta, vista l’ enorme quantita di pubblico e di applausi nelle serate della recita.
«Dietro ad un racconto avvincente e trascinante, il romanzo di Umberto Eco nasconde un incrocio di segni dove ognuno ne nasconde un altro – ci ricorda Muscato – La struttura stessa del romanzo è di forte matrice teatrale. Vi è un prologo, una scansione temporale in sette giorni, e la suddivisione di ogni singola giornate in otto capitoli, che corrispondono alle ore liturgiche del convento (Mattutino, Laudi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespri, Compieta). Ogni capitolo è introdotto da un sottotitolo utile a orientare il lettore, che in questo modo sa già cosa accade prima ancora di leggerlo; quindi la sua attenzione non è focalizzata da cosa accadrà, ma dal come”.
Il narratore è proprio Adso da Melk, ormai anziano, intento a scrivere le memorie di cui è stato testimone in gioventù. L’io narrante sarà sempre presente in scena, in stretta relazione con i fatti che lui stesso racconta, accaduti molti anni, ricordando quando era giovane, ed intento a seguire gli insegnamenti di un dotto frate francescano, che nel passato era stato anche inquisitore: Guglielmo da Baskerville.
Musiche originali, miste a canti gregoriani eseguiti a cappella dagli stessi interpreti, contribuiranno a creare dei luoghi in cui la parola alimenta nello spettatore una dimensione percettiva che lo porta a dimenticarsi, sia del libro che de film.
Bravissimi Luca Lazzareschi(Guglielmo), Luigi Diliberti(Vecchio Adso), e la compagnia tutta.