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“Un posto al sole”: un incomprensibile successo? No, una soap comfort zone nel cuore del suo pubblico

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TV — Oggi sul Corriere della Sera è stato pubblicato un articolo intitolato “«Un posto al sole», incomprensibile successo che dura da 28 anni”. L’autore, Aldo Grasso, descrive la soap con parole molto dure. Premette di non aver mai trovato il format interessante, giudicandolo “un prodotto completamente privo di identità, recitato male, affollato di personaggi (molti dei quali ragazzotti alle prime armi) quasi inespressivi”. Grasso ha rivelato anche stupore dinnanzi ai numeri del pubblico che segue le puntate. Tutti i giorni, infatti, spiega lo stesso giornalista, circa 1 milione 700.000 spettatori segue un episodio della famosa fiction di RaiTre.

Il breve articolo non è stato per nulla accolto con favore dai fan. Soprattutto sul social X (ex Twitter), dove ogni sera molti spettatori si ritrovano sulla piattaforma a commentare le trame, con messaggi di pochi caratteri, sotto l’hashtag #upas. La risposta più pacata e razionale può essere innanzitutto di una banalità disarmante: “Un posto al sole” è una soap opera. È un prodotto di intrattenimento. Ognuno ha i suoi gusti personali e non è obbligatorio per nessuno gradire a tutti i costi una qualsiasi forma di intrattenimento.

Detto ciò, però, non è affatto vero — se è concesso replicare — che “Un posto al sole” non abbia una sua identità. Lo dimostra il fatto che per tutti i fan fedeli guardare gli episodi la sera sia sempre un po’ come tornare a casa. “Un posto al sole” è un luogo narrativo ben riconoscibile. Gli spettatori spesso scherzano e ironizzano proprio sulle caratteristiche peculiari della soap. Non è vero nemmeno che gli interpreti non siano professionalmente validi. Molti attori del cast vengono dal mondo del teatro. Alcuni hanno addirittura calcato il palcoscenico con Eduardo. Per i più giovani Palazzo Palladini può essere anche un trampolino di lancio per recitare poi in altri set.

In ultimo la Napoli raccontata esiste. Napoli non è unica. Non è solo quella degli stereotipi. Gli autori, inoltre, danno spesso spazio anche a importanti temi sociali e d’attualità. Alle volte si tratta di breve divulgazione, altre di sensibilizzazione su argomenti delicati. Scelte che non costituiscono un demerito, considerando la capacità di influenzare un ampio pubblico tutte le sere.

Un difetto di “Un posto al sole” — se proprio vogliamo evidenziarne — è dato dalle trame spesso prevedibili, riciclate e portate per le lunghe. Tuttavia sono sceneggiature congeniali al genere della soap: permettono anche allo spettatore saltuario di trovare subito il bandolo della matassa. Del resto cosa diceva Oscar Wilde? La gente ama ascoltare storie di cui immagina già il finale. Oggi diremmo che tutti adorano la comfort zone.

“Un posto al sole” è un esempio di comfort zone per tantissimi. Se la fiction va ancora in onda con successo dopo 28 anni, un motivo c’è. Piace a moltissime persone. È una soap semplice — certo — che, con le sue trame e i personaggi, è entrata però nel cuore del suo pubblico. Alcune persone seguono per abitudine, altre per distrarsi. Accendono la TV ed entrano anche loro un po’ nella grande famiglia di Palazzo Palladini.

Di Valentina Mazzella

 

 

 

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